Il clarinetto nel jazz, una storia d’amore che non conosce fine

 

Il nostro collaboratore Roberto Beggio ci racconta i passi salienti fatti da questo strumento per affermarsi nel mondo del jazz, trovando in Benny Goodman il suo interprete più famoso

 

Il clarinetto, strumento a fiato ad ancia semplice, nasce dal chalumeau e fin da subito si prestò bene a suonare all’aperto e in contesti popolari, essendo dotato da un suono brillante e malleabile, che poteva iniziare da un pianissimo fino ad arrivare a un fortissimo senza alcuno sforzo di emissione. E anche per via della sua praticità gli permise fin da subito di essere sempre presente nelle bande, anche per via delle sue dimensioni ridotte, per eseguire brani di musica classica e trascrizioni di quella operistica, andando a sostituire egregiamente il violino.

Sidney Bechet, passato alla storia per il suo tipico suono vibrato.

Alla fine dell’Ottocento e agli inizi del successivo, anche New Orleans aveva la sua banda, anzi parecchie, in cui erano presenti trombe, tromboni, sassofoni, ma soprattutto i clarinetti che, una volta usati, venivano abbandonati dai bianchi e raccolti dai neri i quali, non avendo modo di suonarli in maniera classica, soffiavano secondo il proprio istinto utilizzando tra l’altro la loro scala pentafonica. Ne veniva fuori un suono “sporco”, non curato, molto vibrato a imitazione del canto.

I primi clarinettisti ad emergere in quel periodo furono Sidney Bechet, Johnny Dodds, Jimmie Noone, Albert Nicholas, George Lewis, Barney Bigard, tutti fautori di un suono molto originale, con un forte vibrato, soprattutto Sidney Bechet.

George Lewis sapeva sempre usare le “note giuste” nelle sue improvvisazioni.

Sfortunatamente non esistono molte incisioni al clarinetto di Sidney Bechet, ma quelle che sono state fatte nel suo periodo a New Orleans testimoniano della sua originalità e della grande differenza qualitativa tra lui e gli altri grandi clarinettisti per via della sua capacità sia tecnica sia improvvisativa, che gli permise, una volta trasferitosi in Europa (più precisamente a Parigi) di diventare un grande interprete del sassofono soprano.

Johnny Dodds, fratello maggiore del batterista Baby Dodds, studiò il clarinetto con Lorenzo Tio, dotato di una grande tecnica e di un profondo senso del “blues”, capace di influenzare in particolar modo Benny Goodman.

Il leggendario Benny Goodman, The King of Swing.

Sempre restando a New Orleans, Jimmie Noone, Albert Nicholas, George Lewis, Barney Bigard furono i principali artefici del clarinetto, anche se il più originale fu Lewis, autentico interprete del sound di questa città sul Mississippi. Nonostante il fatto che la sua tecnica fosse limitata, riusciva sempre a suonare le note giuste in grado di trasmettere un pathos adeguato a questo genere musicale basato sulla scala blues. Uno dei suoi cavalli di battaglia fu Bourgundy Street Blues. Lewis suonò un clarinetto Albert, dotato di poche chiavi che permettevano una sonorità diversa dagli strumenti più attuali che vantano molte più chiavi. Questo perché le chiavi in ferro tolgono spazio al fusto principale di legno, rendendo in tal modo il suono meno brillante. Ecco perché George Lewis rappresenta tutt’ora l’essenzialità per ciò che riguarda l’interpretazione di questo genere musicale.

Nel corso dell’era swing, il clarinetto fu portato in auge e consacrato come strumento potentemente solista dal grande e insuperabile Benny Goodman, del quale è inutile scrivere qui in poche righe; basterà sottolineare che è stato uno dei più grandi clarinettisti della storia del jazz e non solo. Altri eccelsi interpreti di questo strumento a fiato di quel periodo furono Woody Herman e Artie Shaw, entrambi molto bravi, anche se non furono mai in grado di impensierire The King of Swing, come venne soprannominato Benny Goodman.

Il clarinettista Eddie Daniels dalla tecnica sopraffina.

Il clarinetto, dopo la fine dell’era swing, fu soppiantato dal sassofono anche in virtù del nuovo stile, il Be Bop, che includeva accordi più elaborati e maggiori difficoltà tecniche. Da qui, una nuova generazione di clarinettisti come Buddy De Franco, Tony Scott e soprattutto Eddie Daniels, un musicista dotato di una tecnica strepitosa, capace di esprimere un linguaggio molto moderno legato appunto al Be Bop.

Attualmente al mondo ci sono ancora grandi clarinettisti come Ken Peplowsky, Anat Cohen, Paquito D’Rivera, che proseguono sulla falsariga indicata da Eddie Daniels, mentre Evan Christopher ha ripreso lo stile di New Orleans, dando vita al cosiddetto contemporary early-jazz.

Henghel Gualdi, uno degli artisti di punta del clarinettismo jazz europeo.

Anche nel nostro Paese ci sono stati grandi interpreti di questo strumento, basterà ricordare l’emiliano Henghel Gualdi, che negli anni Cinquanta ha detto la sua anche a livello europeo. Attualmente possiamo citare Gabriele Mirabassi, Alfredo Ferrario, Paolo Tomelleri, Bepi D’Amato, Nicola Giammarinaro, Claudio Perelli, Gianni Sanjust, tutti ottimi clarinettisti specializzati sia nel repertorio di un jazz più tradizionale, sia in quello squisitamente più moderno.

Roberto Beggio