Il canto “dipinto” da Ottorino Respighi
Ogni volta che mi capita un disco di Ottorino Respighi che non contempli la solita, annosa, trita e ritrita Trilogia romana, quella formata dai poemi sinfonici Fontane di Roma, Pini di Roma e Feste romane, mi sento soddisfatto al pensiero che il grande compositore bolognese abbia la possibilità di essere conosciuto e apprezzato anche grazie ad altre sue pagine, che siano orchestrali, cameristiche, liriche o anche trascrittive da altri autori, una pratica, quest’ultima, della quale fu semplicemente un maestro assoluto. D’altronde, abbiamo a che fare con un musicista che, sebbene sia morto a soli cinquantasei anni, ha all’attivo un catalogo con oltre duecento opere, la maggior parte delle quali non sono di certo inferiori rispetto all’ormai “famigerata” Trilogia, senza scordare un altro aspetto a favore di coloro che non conoscono a sufficienza questo nostro compositore, quello che riguarda la sua abilità nell’orchestrazione, tale da porlo alla medesima altezza di un Čajkovskij o di un Richard Strauss.
Quindi, è da salutare con gaudio una recentissima produzione discografica della Naxos, che vede il contralto Alessandra Visentin e la Chamber Orchestra di New York diretta da Salvatore Di Vittorio, presentare, oltre alla Berceuse P. 38 per archi, pagine del repertorio per voce e orchestra, quali le Tre Liriche P. 99, Il tramonto P. 101 e Aretusa P. 95, alle quali si viene ad aggiungere il celebre Lamento d’Arianna P. 88 di Claudio Monteverdi nell’orchestrazione dello stesso Respighi.
Se ho accennato alle capacità di orchestratore in Respighi è per il semplice fatto che proprio grazie a questa sua indubbia dote ebbe inizio il riconoscimento non solo in ambito nazionale della sua musica. L’arte dell’orchestrazione Respighi la conseguì per merito di due precise circostanze; la prima è da ascrivere al fatto che il compositore bolognese studiò al Liceo Musicale del capoluogo emiliano composizione con Giuseppe Martucci, oltre che violino e viola con Federico Sarti e musicologia con Luigi Torchi, quest’ultimo uno dei maggiori studiosi di musica antica della sua epoca. La seconda circostanza risale, invece, al periodo successivo alla laurea al conservatorio avvenuta nel 1900, quando Respighi decise di recarsi in Russia per diventare primo violista per l’Orchestra del Teatro Imperiale Russo di San Pietroburgo in occasione della stagione dedicata all’opera italiana. Proprio durante il soggiorno a San Pietroburgo, il giovane musicista ebbe modo di approfondire composizione per cinque mesi con Rimskij-Korsakov, ossia con colui che, con il già citato Čajkovskij, vantava una padronanza assoluta del colore orchestrale e di come applicarlo. Al termine di questa preziosa esperienza didattica, Respighi tornò a Bologna per conseguire una seconda laurea, proprio quella riguardante la composizione. Conscio del fatto di voler approfondire la conoscenza della musica strumentale, e in particolare quella orchestrale, il compositore emiliano prese la decisione di stabilirsi in Germania, dove soggiornò nel biennio 1908-09.
Fu nel corso della sua permanenza in terra germanica che Respighi ebbe la possibilità di mettere in pratica i preziosi insegnamenti di Martucci prima e di Rimskij-Korsakov poi, elaborando proprio la sua orchestrazione riguardante il Lamento d’Arianna di Claudio Monteverdi, che debuttò a Berlino nel 1908 sotto la direzione del leggendario Arthur Nikisch, il fondatore dei Berliner Philharmoniker. Quell’esecuzione suscitò entusiasmo sia nella critica sia nel pubblico, come testimoniano le recensioni che furono pubblicate sull’Allgemeine Musikzeitung e sul Berliner Tageblatt. L’attenzione riservata da parte di Respighi alla commovente pagina monteverdiana è solo un esempio dell’amore che il compositore ebbe nei confronti della musica antica, di cui divenne uno dei maggiori esperti dei primi decenni del Novecento, soprattutto nel campo della musica italiana dal XVI al XVIII secolo, dando alle stampe pregevoli e accurate edizioni della musica di Claudio Monteverdi e di Antonio Vivaldi e della Didone di Benedetto Marcello.
Se nel panorama incondizionatamente operistico e belcantistico, nel quale si trovò confinata la musica italiana di fine Ottocento e inizio Novecento, Ottorino Respighi rappresentò una sorta di eccezione alla regola, ossia capace di proporre uno stile compositivo in grado di esaltare le potenzialità orchestrali attraverso una precisa operazione di recupero culturale e artistico dell’arte sonora del remoto passato, ciò avvenne in quanto il nostro musicista non si limitò, come volle definirlo la critica del tempo, ad essere un semplice esponente delle tradizioni neo-rinascimentali e neo-barocche, ma un autore capace di plasmare osmosi sonore nelle quali l’antico poteva convivere con l’humus delle armonie e delle trame tardoromantiche in voga in quel lasso temporale.
Ora, prendendo in esame il CD della Naxos, questo progetto discografico si è basato sul lavoro effettuato dal compositore e direttore d’orchestra Salvatore Di Vittorio, che nel 2008, per volere delle pronipoti di Respighi, Elsa e Gloria Pizzoli, e con la guida del curatore/catalogatore dell’archivio della famiglia Respighi, Potito Pedarra, ha voluto restaurare le opere presentate in questa playlist. E se la Berceuse per archi e il Lamento d’Arianna hanno richiesto un lavoro di restauro e di editing, quello concernente le Tre Liriche ha reso necessario anche il completamento della loro orchestrazione per la pubblicazione. Certo che un disco del genere porta necessariamente a una riflessione generale, quella secondo la quale la musica respighiana ebbe anche un’altra funzione, ossia di rivestire un ruolo di collegamento tra l’arte compositiva di Martucci e quella dei compositori coevi del musicista bolognese. E questo soprattutto per quanto riguarda quelle pagine in cui è prevista la presenza della voce. D’altronde, non è certo un mistero il fatto che al Conservatorio bolognese lo stesso Martucci rimase sorpreso dalle capacità tecniche di Respighi nel coniugare il canto con la massa strumentale, e senza contare che quest’ultimo indubbiamente fece tesoro della lezione martucciana per il genere della romanza, che a quel tempo furoreggiava nel nostro Paese (vedasi capitolo Tosti e affini).
Tali influenze didattiche e artistiche si possono notare proprio nelle Tre Liriche, in cui affiora quel legame che le salda alla martucciana La canzone dei ricordi, le cui dinamiche compositive ricordano per l’appunto il trittico respighiano; anche il ciclo di romanze di Martucci, difatti, fu creato dapprima nel 1887 per canto e pianoforte, per poi essere trascritto per canto e orchestra. Una dilatazione organica e timbrica, per aumentare la volumetria dei colori, che Respighi fece proprio per le Tre Liriche, ossia Notte, Nebbie e Pioggia, che originariamente creò come opere separate per la voce di mezzosoprano e pianoforte tra il 1906 e il 1912. Fatto ciò, il musicista bolognese decise di orchestrare queste tre canzoni nel 1913, le quali vennero eseguite in prima mondiale nel febbraio 1914 con l’Orchestra dell’Augusteo a Roma sotto la direzione di Bernardino Molinari. Credute perdute, le tre partiture in questione, tra l’altro incomplete, sono state rintracciate negli anni Novanta da Potito Pedarra e Salvatore Di Vittorio si è occupato della loro orchestrazione partendo dal manoscritto orchestrale esistente, fornito dalla famiglia Respighi, per la sua prima edizione critica registrata nel 2013 (oltre alla versione originale per mezzosoprano o baritono e orchestra, vi è anche quella per soprano o tenore e orchestra).
Per quanto riguarda la Berceuse, si tratta di una breve ninnananna composta nel 1902. Il suo precipuo interesse risiede nel fatto che con questa pagina, così come con l’Aria per archi, Respighi concentrò la sua attenzione compositiva sulla scrittura ispirata alla sezione degli archi e che lo portò in seguito a confezionare nello specifico la terza delle Tre arie antiche, riservata per l’appunto all’orchestra d’archi.
Le ultime due tracce del disco, Il tramonto e Aretusa, sono dedicate ad altrettante pagine il cui denominatore comune è dato dai testi del poeta inglese Percy Bysshe Shelley, tradotti da Roberto Ascoli, e dal fatto che Respighi le scrisse espressamente per il mezzosoprano Chiarina Fino-Savio. Nelle note di accompagnamento al disco si legge che Il tramonto ricorda lo spirito e l’afflato degli archi presenti nel wagneriano Siegfried-Idyll, cosa che non può essere messa in dubbio, anche se la linea melodica respighiana è assai più pronunciata ad arrotondamenti e a smussamenti consonantici. Semmai, deve far riflettere, a livello temporale, che questo poemetto lirico risale al 1914 e precede solo di due anni il poema sinfonico Le fontane di Roma, segno indubitabile di come ormai il compositore bolognese fosse in grado di trattare e plasmare la materia sonora, in quanto fin dal poemetto lirico in questione si può ammirare il Respighi impareggiabile “decoratore”.
Il brano Aretusa risale a tre anni prima della composizione de Il Tramonto e narra il racconto della ninfa delle acque Aretusa, che fugge dal dio del fiume Alfeo con l’aiuto dei mari in Sicilia. Al di là della piattezza data dalla traduzione italiana del testo, ma utile nella sua applicazione in chiave musicale, non si può fare a meno di annotare come questa pagina rappresenti orchestralmente un chiaro work in progress rispetto alle successive conquiste fatte in materia orchestrale da parte del compositore emiliano, senza contare la parte estremamente impervia riservata alla voce e l’importanza riservata ai colori orchestrali, i quali anticipano di fatto, e non credo proprio di esagerare nell’affermarlo, quelli che andranno ad essere pennellati da Richard Strauss più di trentacinque anni dopo nei Vier Letzte Lieder.
Ecco, proprio la voce: partiamo dalla lettura fatta da Alessandra Visentin. Reputo che per la scelta del programma, questo disco abbia rappresentato una sfida a dir poco erculea per il contralto veneziano, il quale ha voluto affrontare pagine non certo destinate per il suo timbro, dovendo, giocoforza, giostrare su un registro disagevole e colmo di insidie. Ora, non dico che la sua interpretazione abbia rasentato l’immagine di un semplice bere un bicchiere d’acqua, ma ci siamo vicini. Al di là della caratura tecnica, e questo si evince proprio in quell’autentico campo minato rappresentato da Aretusa, in cui la tessitura viene semplicemente padroneggiata, aggiungendo anche una paletta di sfumature sempre suadenti e azzeccate, ciò che colpisce nella sua esecuzione, e ciò vale anche negli altri brani della playlist, è come Alessandra Visentin riesca a tramutare in facilità stilistica ciò che il suo registro dovrebbe invece far affiorare a livello di difficoltà. E il fatto che sia riuscita a rendere idealmente ciò che sulla carta non poteva essere, ha permesso di mettere ulteriormente in luce degli aspetti “oscuri” che sono invece presenti in queste pagine, e mi riferisco soprattutto alle Tre Liriche, in cui la dimensione grigia, opacizzata, “crepuscolare” offerta dai testi, ossia versi di Ada Negri e Vittoria Aganoor Pompilj, viene così maggiormente esaltata, potenziata dal registro ammaliante del contralto veneziano, il quale se sguazza felicemente nella gamma medio-bassa come un pesce nell’acqua, dimostra anche di non temere l’asperità sguainata da quella acuta, che viene sempre circonfusa da un nitore e da un respiro che aumentano il valore artistico di questa registrazione.
A darle manforte, a prenderla per mano, con stretta sicura e rassicurante, è Salvatore Di Vittorio, che ha saputo usare la bacchetta come un pennello per permettere alla compagine newyorkese di unire sfumature strumentali a quelle del contralto veneziano, sovrapponendole e potenziandole, in modo da far comprendere meglio la ricchezza timbrica di cui è infarcita la musica di Ottorino Respighi, che non può e non dev’essere reclusa unicamente nell’angusto e soffocante spazio della Trilogia romana.
Bill Siegmund si è occupato della presa del suono e il suo lavoro ha quantomeno il merito di non aver inficiato il lato artistico della registrazione della Naxos, grazie a una dinamica che, sebbene non sia energicamente esplosiva, vanta sufficiente velocità e anche un’apprezzabile naturalezza in grado di restituire le sfumature timbriche in modo adeguato. La ricostruzione del palcoscenico sonoro vede correttamente Alessandra Visentin posta leggermente avanti rispetto alla compagine orchestrale, anche se la sua voce tende a sopraffare il suono degli strumenti, soprattutto quando sono ridotti ai soli archi. L’equilibrio tonale e il dettaglio non risultano essere inferiori, con il primo che permette di avere un registro medio-grave e acuto, sia per ciò che riguarda la voce, sia per quanto concerne gli strumenti, sempre chiaro e mai sovrapposto indistintamente, mentre il secondo presenta una sufficiente matericità.
Andrea Bedetti
Ottorino Respighi – Tre Liriche-Berceuse-Lamento d’Arianna-Il tramonto-Aretusa
Alessandra Visentin (contralto) - Chamber Orchestra di New York - Salvatore Di Vittorio (direzione)
CD Naxos 8.574160
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 3,5/5