I mottetti di Giovanni Antonio Rigatti, un esempio della “seconda prattica” monteverdiana

L’arte musicale veneziana dei primissimi decenni del Seicento è improntata intorno a una figura capitale, quella di Claudio Monteverdi, tale da rendere la città della Serenissima una delle capitali europee della musica dell’epoca. Ma non bisogna dimenticare che Monteverdi rappresenta la proverbiale punta dell’iceberg rispetto a un movimento, a una scuola (incarnata dalla Cappella della Basilica di San Marco) e a un gruppo di musicisti italiani e stranieri che elessero Venezia quale centro dove vivere e operare, tanto da permettere alla città lagunare di essere al centro di un mirabile sviluppo artistico in cui musica, pittura, scultura e arte della stampa (strumento ineludibile per la propagazione e irradiazione delle idee e delle opere) permisero l’instaurarsi di un periodo semplicemente irripetibile tra la fine del XVI secolo e la metà di quello successivo in quel preciso contesto storico e culturale. E tra coloro che contribuirono a rendere Venezia “ombelico del mondo” musicale dell’epoca vi fu anche Giovanni Antonio Rigatti, al centro di questa registrazione discografica che presenta, in prima assoluta mondiale, una parte del secondo libro contenente sedici mottetti, di cui otto dedicati alla voce del soprano (quelli, per l’appunto, presenti in questo compact disc), pubblicato nel 1647, ossia un anno prima della morte del compositore veneziano avvenuta a soli trentacinque anni. Il corpus delle opere rigattiane verte quasi esclusivamente sulla produzione sacra (cinque volumi di mottetti solisti e concertati e quattro di salmi che contengono anche tre messe), oltre a due libri di musica profana, con monodie in stile concertato e madrigali e votato a una concezione estetico-musicale in cui si avverte distintamente la messa in atto annunciata dalla seconda prattica monteverdiana, ossia basata non solo su una maggiore libertà per ciò che riguardava l’esposizione musicale rispetto al testo vocale, ma soprattutto su una sua resa maggiormente aderente ai dettami di una teatralità scenica, tale da rendere l’opera meno statica da un punto di vista della sua esecuzione. E Rigatti riesce a fare ciò, come si può ascoltare in questa illuminante registrazione, attraverso un uso della voce, quella del soprano (o anche tenorile) in cui i mottetti vengono tratteggiati, espressi, connotati da una dimensione scenica in cui si percepisce lo spazio, la funzione tridimensionale in cui voce e accompagnamento musicale (dato dalla tiorba, dalla chitarra barocca, dall’organo portativo, dal violoncello barocco, dal serpentone e dal clavicembalo) non rappresentano più un elemento “fisso” in cui l’apporto strumentale ha unicamente il compito di sostenere la voce umana, ma un proscenio ideale in cui il ruolo degli strumenti è quello di intervenire nel tratteggiare oltre ciò che il canto propone. Con la seconda prattica la forbice si allarga, la libertà sonda in profondità e il quadro d’insieme ottenuto dall’articolazione combinata della voce con gli strumenti assume contorni più sfumati, più dinamici e a guadagnarci è il tratto psicologico che caratterizza la rappresentazione, con l’elemento umano che può descrivere anche se stesso oltre a ciò che è scritto nelle note.

Da qui una drammaturgia dell’eloquio che è il frutto di una ragguardevole e attenta ornamentazione che Rigatti opera attraverso l’uso dell’accompagnamento, in cui ogni strumento, a sua volta, diviene voce autonoma, colore e spazio che vanno ad arricchire la tavolozza globale della composizione e a rendere più articolato lo spazio in cui si svolge la scena musicale (poiché in fondo il mottetto diviene ciò) che non si pone unicamente il ruolo di raccontare, ma come raccontare. In fondo, l’avvento della seconda prattica monteverdiana è il trionfo del come sul quando, dello spazio (scoperta per eccellenza del barocco pittorico, soprattutto di quello della scuola veneta) sul tempo, dell’uomo come motore che agisce e che opera a scapito dell’azione fine a se stessa. Tutti concetti splendidamente manifestati dalla presente registrazione in cui gli otto mottetti eseguiti dai membri dell’Ensemble Estro Barocco si stagliano su un proscenio che abbandona il luogo d’origine per il quale furono creati da Rigatti, ossia la dimensione sacrale, per assurgere a “micro opere conchiuse”, dove i testi desunti dalle sacre scritture, i libri del Salterio e del Cantico dei Cantici (la scelta di quest’ultimo con l’inevitabile sentore erotico che presta il fianco a una dimensione profana deve far riflettere), oltre che da frammenti di antifone e di responsori liturgici, si tramutano in espressioni carnali, fisiche, in cui la fede, l’anima, l’idea del peccatore e del credente sono fasciati da nervi, vene, muscoli, proiezioni nelle quali il canto e l’accompagnamento musicale non sono più strumenti, veicoli, ma protagonisti assoluti inseriti all’interno del contesto scenico. E questa è, ormai, la modernità che bussa alla porta di quel tempo.

Non conoscendo le opere in questione, quantomeno a livello di interpretazione e di conseguente ascolto consolidato, non posso che affidarmi al risultato estetico ed esecutivo in termini generali e questo non può che essere più che positivo, sia da parte dell’ardua tessitura vocale (soprattutto quando la voce è costretta a galleggiare sul registro acuto, permettendo il dipanare strumentale che ha il compito di fissare e amplificare ciò che il canto indica) affrontata dal soprano Paolo Roggero, sia da parte dell’accompagnamento, in cui primeggiano l’organo portativo di Federico Demarchi, il serpentone di Roberta Pregliasco, la tiorba e la chitarra barocca di Ugo Nastrucci. Un altro esempio di ensemble filologico, ricco di passione, entusiasmo e preparazione non solo musicale, ma anche musicologica, che rende ricco a livello artistico questo Paese che troppo spesso, purtroppo, dimentica tali eccelse realtà.

Anche la presa del suono non è da meno, con la chiesa di Santa Caterina di Mondovì che si è dimostrata una location ideale (con un riverbero fortunatamente non straripante); dinamica più che eccellente, veloce e priva di enfasi. Il palcoscenico sonoro ha restituito la voce sopranile leggermente avanzata rispetto agli strumenti, posti a una discreta profondità, con l’equilibrio tonale che non mostra imperfezioni e con un dettaglio che ha permesso di scolpire gli strumenti e la voce.

Andrea Bedetti

 

Giovanni Antonio Rigatti – Mottetti a voce sola per Soprano – Libro II (1647)

Ensemble Estro Barocco

CD Urania Records LDV 14034

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5