Girolamo Melcarne, dalla polifonia alla monodia

Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la musica di quel tempo vide il progressivo tramonto della polifonia a vantaggio della monodia, ossia il passaggio da composizioni vocali in cui il flusso musicale era esposto da più voci, ognuna delle quali seguiva una propria linea espressiva, a opere in cui a primeggiare era la presenza di una o più voci che esponevano la stessa linea. Uno sviluppo scaturito, nel nostro Paese, soprattutto per merito della cosiddetta Camerata de’ Bardi che a Firenze, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, raccolse intorno alla figura del nobile Giovanni Bardi musicisti e drammaturghi come Girolamo Mei, Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, Emilio de’ Cavalieri, Jacopo Peri, Francesco Rasi e Ottavio Rinuccini, senza dimenticare, a livello culturale e religioso, le dinamiche apportate dalla Controriforma in campo musicale, delineate nel corso del Concilio di Trento, che si svolse tra il 1545 e il 1563, che intendevano riportare la musica vocale a una dimensione più comprensiva del testo, ormai reso del tutto astruso e inintelligibile dagli artifici stilistici del contrappunto di matrice fiamminga.

Tra coloro che sulla spinta propulsiva data dalla Camerata fiorentina vollero privilegiare la musica monodica rispetto a quella polifonica è da ricordare un compositore rimasto fino a pochissimo tempo fa ai margini della storia musicale, il pugliese Girolamo Melcarne, nato a Montesardo probabilmente intorno al 1580 e morto forse nel 1642, il quale dopo aver frequentato i principali centri musicali italiani dell’epoca, ossia Venezia, Mantova e Firenze, proprio nella città toscana ebbe modo di entrare in contatto con i membri della Camerata. La marginalità di questo notevolissimo compositore è data anche dal fatto che più della metà delle sue opere è andata purtroppo perduta nel corso del tempo, ma ciò che è rimasto e giunto fino a noi ne attesta la sua grandezza e bene ha fatto quindi l’Ensemble Terra d’Otranto a registrare per l’etichetta discografica Baryton un disco che presenta alcuni brani della sua produzione sacra e profana, compresi alcuni pezzi puramente strumentali con la presenza del violino barocco, della chitarra spagnola (fu proprio Melcarne a favorire la conoscenza e lo sviluppo di questo strumento nel nostro Paese) della tiorba, dell’organo e del cembalo. Brani tratti da quelle poche copie originali giunte fino ai nostri giorni, ossia dall’Amphiteatrum Angelicum Divinarum Cantionum (stampato a Venezia nel 1612), da I lieti giorni di Napoli. Concertini Italiani in aria Spagnuola (Napoli, 1612) e dalla raccolta che viene considerata il suo capolavoro, Nuova Inventione d’Intavolatura (Firenze, 1606).

Questi pezzi, tra i quali primeggiano per stile e impatto espressivo quelli sacri (cito Veni Sponsa Christi, Magnus Dominus, Ecce Confessor Magnus), mentre quelli profani denotano un richiamo melodico di sicura presa (Ballo di Napoli, Spagnoletta, Sarabande, Folie, Scherzo d’Amore) e una notevole inventiva, presentano le voci del soprano, del tenore e del basso alternarsi sempre in ambito monodico, già pregni di quel “recitar cantando” raccomandato dalla filosofia estetica della Camerata de’ Bardi. Inoltre, l’uso delle voci, attraverso un illuminante senso ritmico dato ai versi e alle parole, già proietta queste composizioni in un ambito squisitamente teatrale (si pensi a Alm’afflitta che fai in cui il soprano e il tenore danno vita a una sorta di aria ante litteram).

La bellezza e il fascino di questi brani viene ulteriormente esaltato dall’interpretazione dei membri dell’Ensemble Terra d’Otranto, a cominciare dalle tre voci (Cristina Fanelli, soprano, Alberto Allegrezza, tenore e Angelo De Leonardis, basso) capaci di esprimere compiutamente non solo in senso tecnico (Magnus Dominus), ma anche in chiave espressiva e psicologica (ancora Alm’afflitta che fai). Non da meno sono gli strumenti, a cominciare dal violino di Doriano Longo (fondatore del gruppo nel 1991), dalla tiorba e dalla chitarra spagnola di Luca Tarantino, ancora dalla tiorba di Pierluigi Ostuni e dall’organo e cembalo di Christian Accogli, in grado di restituire immagini, atmosfere, sapori di una concezione musicale che non smette mai di stupire.

Anche la presa del suono è ottima. La dinamica è energica, veloce e naturale (ciò vale soprattutto per le voci e per gli strumenti a corda). Il palcoscenico sonoro vede primeggiare le voci, poste in risalto, mentre a livello di ricostruzione dello spazio sonoro gli strumenti appaiono in second’ordine, causando a volte problemi nell’equilibrio tonale, soprattutto quando è la tiorba ad accompagnare il canto, in quanto quest’ultimo timbricamente tende a coprire leggermente lo strumento. Il dettaglio è molto buono, con nero a sufficienza intorno a voci e strumenti, esaltando la loro fisicità e matericità.

Andrea Bedetti

 

Girolamo Melcarne – Hieronymus Montisardui

Ensemble Terra d’Otranto

CD Baryton 2018/01 – Programmazione Puglia Sounds Record 2018

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5