A livello discografico, per quasi un secolo il Puccini operista ha inevitabilmente (e comprensibilmente) emarginato il Puccini compositore di altri generi musicali, con la scusa e la lapalissiana motivazione che quanto creato dall’artista lucchese al di fuori del teatro musicale non valesse una tacca. Una motivazione che ci potrebbe anche stare, se non fosse che il Puccini dei capolavori teatrali è stato figlio di un altro Puccini, proprio quello che si formò le ossa prima di approdare a Milano, in cerca di pane e di successo, ossia colui che, seguendo la tradizione musicale familiare, fu un valente esecutore all’organo in terra lucchese, oltre a cimentarsi, proprio in campo organistico, con la matita e il pentagramma, componendo diversi brani che gli permisero quanto meno di impratichirsi con la scrittura, convincendolo che oltre alla figura di esecutore in lui poteva convivere anche quella di creatore, come poi la storia, buon per noi, ha pienamente confermato in campo operistico.
Alla luce di quanto scritto, non può quindi stupire più di tanto, se solo nel 2017, per merito del musicologo Virgilio Bernardoni, si è potuto raccogliere e pubblicare nel volume II/2.1 dell’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini (Carus-Verlag 56.003) l’integrale delle composizioni originali per organo del musicista lucchese, grazie al meritevole e appassionato impegno musicologico del Centro Studi Giacomo Puccini di Lucca che, tra il 2015 e il 2017, ha permesso di portare finalmente alla luce un numero considerevole di questi pezzi che si trovavano sparpagliati e conservati in diverse collezioni. Così, si è entrati in possesso di cinquantasette pagine composte tra il 1870 e il 1880 circa, ossia al tempo in cui il giovane e ambizioso studente di musica prestava servizio liturgico in qualità di organista a Lucca e in alcuni centri limitrofi.
Questo corpus compositivo del giovane Puccini è stato già presentato discograficamente, ma la sua integrità finora era stata ottenuta da due differenti incisioni che andavano a completarsi a vicenda, vale a dire quella registrata nel 2017 dall’organista olandese Liuwe Tamminga in un CD dell’etichetta Passacaille e l’altra dall’organista cremonese Paolo Bottini in un altro CD apparso nel 2023 per la Elegia Classics. Ora, però, per un’altra casa discografica, la Da Vinci Classics, anche alla luce del centenario della morte di Puccini, lo stesso Bottini ha inciso recentemente l’integrale pucciniana in un duplice CD e curandone anche le dettagliate ed esaustive note di accompagnamento. Così, al di là della comodità di avere finalmente a disposizione in un’unica incisione l’integrale organistica, cosa più importante è averla attraverso la sensibilità e la lettura di un solo interprete.
Riandando indietro nel tempo, appare abbastanza chiaro che se Puccini non avesse deciso di completare i suoi studi al Conservatorio di Milano, cosa che avvenne nel luglio del 1883, consentendogli di avviare una prolifica e immortale carriera in seno operistico, probabilmente la sua fama, come giustamente scrive Bottini nelle sue note, sarebbe rimasta confinata nell’ambito del territorio lucchese, andando a proseguire la solida tradizione organistica familiare, visto che il padre Michele fu organista del Duomo di San Martino a Lucca fino alla prematura scomparsa avvenuta nel gennaio del 1864, a soli cinquantun anni, e che il trisavolo Jacopo occupò il medesimo posto a partire dal 1740. Non c’è da stupirsi, dunque, se il giovinetto Giacomo studiò organo presso l’istituto musicale “Pacini” di Lucca dal 1873 al 1877, padroneggiando ben presto questo strumento, al punto da essere organista liturgico di mestiere all’inizio del 1873, ossia all’età di soli quindici anni, sostituendo lo zio Fortunato Magi (fratello della madre del futuro, geniale operista) nella chiesa di San Girolamo, con un’attività che svolse, regolarmente stipendiato, fino alla fine del 1882.
Dobbiamo, quindi, ringraziare gli dèi dell’arte sonora, come la storia ci ricorda, sotto le fattezze della stessa genitrice Alba, della marchesa Pallavicini, dama di compagnia della regina Margherita, e per finire, del dottor Nicolau Cerù, nelle vesti di ultimo filantropo e sostenitore delle doti musicali di Giacomo, se il giovane Puccini si liberò dal puzzo di provincialismo, trasferendosi nella città meneghina, nella quale, oltre a studiare in modo sistematico, poté annusare infine il profumo della vera musica, alla quale si consacrò in modo geniale, pur continuando (il primo amore, anche sul pentagramma, non si dimentica mai… ) a prendere altre lezioni d’organo private.
Il Puccini organista è, dunque, una sorta di Ur-Puccini, se vogliamo definirlo in questo modo, ma che può risultare utile, se non addirittura necessario, per comprendere meglio il Puccini maturo, quello destinato a restare per sempre nella storia. La prima cosa da fare è fissare cronologicamente questo corpus di cinquantasette composizioni, la cui stesura è fissata nel decennio che precede esattamente il trasferimento del giovane Puccini a Milano. Ora, delle cinquantasette pagine che formano il corpus organistico pucciniano, trentaquattro riguardano l’ambito sacrale, soprattutto sotto forma di versetti, i quali furono concepiti per la pratica dell’alternanza tra coro e organo nelle parti dell’Ordinario della Messa e negli inni e Magnificat dei Vespri, assieme ad altri brani esplicitamente destinati ad accompagnare l’Offertorio, l’Elevazione e il Postcommunio, oltre a brani che invece possono avere una funzione maggiormente profana, come le diciannove Sonate e la Marcia in re maggiore presenti nel primo disco, unitamente ad altre di cui non si hanno informazioni certe sulla loro effettiva destinazione effettiva, come quelle, che non hanno titolo, contrassegnate dalle tracce 30 e 31 del secondo disco. Da notare, come scrive giustamente Paolo Bottini, come una parte di questi brani, anche sacrali, siano stati composti con scopi dichiaratamente didattici, scaturiti dalle lezioni che il grande compositore lucchese impartì tra il 1874 e il 1878 a Carlo Della Nina (1855-1918), di professione sarto (sic!), il quale svolgeva servizio d’organista presso la chiesa di San Giusto in Porcari.
Un’altra considerazione dev’essere fatta a livello tecnico, in quanto nel corso della sua giovanile attività d’organista, Giacomo Puccini ebbe a disposizione strumenti di scuola toscana, basati su un Principale di 8 piedi, con una sola tastiera di 45 tasti e prima ottava corta, piccola pedaliera a leggìo, la quale comandava non più di dodici canne di Contrabassi di 16 piedi, con pochi registri “da concerto” (principalmente Cornetto e Trombe); al contrario, Bottini ha preferito eseguirli su strumenti di più ampia mole, come quelli che appartengono alla scuola organaria lombarda ottocentesca, vale a dire l’organo Vegezzi/Bossi (1855), che si trova nella chiesa parrocchiale di Pavone Canavese, in provincia di Torino, impiegato per i venticinque brani ospitati nel primo CD, e l’organo Bossi/Giani (1862/2010), presente nel Duomo di S. Stefano in Casalmaggiore, in provincia di Cremona, per eseguire i restanti trentadue brani registrati nel secondo CD.
Il motivo di tale scelta lo si può comprendere dal semplice loro ascolto, in quanto la scrittura che il giovane (e “anarchico”) Puccini riversa in essi non è di certo ancorata ad una ricerca estetica e religiosa che si limita a rispettare e ad “ossequiare” lo stile liturgico, ma fa già denotare una brillantezza, una ricchezza timbrica più simile a quello che sarà il marchio di fabbrica squisitamente teatrale/operistico (e da ciò si può ovviamente far notare agli appassionati dei capolavori pucciniani come l’ascolto di questa integrale possa andare a integrare la base di una conoscenza più ampia di ciò che è stato il Puccini maturo rispetto alle semenze seminate dall’Ur-Puccini che si dedica alla musica organistica).
Inoltre, prendendo spunto dall’accurato lavoro musicologico effettuato dal già citato Virgilio Bernardoni, Paolo Bottini nelle note di accompagnamento fa notare come l’Ur-Puccini abbia gelosamente conservato alcuni di questi manoscritti organistici, invece di farli disperdere nelle mani di organisti di paese, come nel caso dell’unica Pastorale attestata, che rappresenta l’ultima traccia del secondo disco, con il titolo di Pastorella gravida, e di composizioni che opportunamente ordinate potrebbero andare a formare una Messa per organo completa, come appunto si è fatto in tale integrale organistica, con il Kyrie in re maggiore, il Gloria in la minore, oltre ai pezzi “sciolti” per l’Offertorio, l’Elevazione e il Postcommunio, sempre presenti all’inizio del secondo disco.
Per ciò che riguarda le diciannove Sonate e la Marcia che chiude il primo disco, si può affermare che è qui che si annida la piena libertà espressiva della scrittura organistica del giovane Puccini, libero dalle incombenze e ristrettezze clericali, musicalmente mai digerite. Semmai, quando la rigidità formale lo permette, anche qui la vena pucciniana si libra felicemente, come avviene, a livello espressivo, nell’Elevazione, che con i suoi sei minuti e più rappresenta il brano che vanta la maggiore durata di tutto il corpus organistico.
Alla luce di ciò, che cosa significa, fondamentalmente, questa integrale organistica pucciniana? Prima di tutto, resta il valore storico di musica applicata a livello discografico, che va a chiudere il cerchio con quello riguardante la ricerca fatta da Virgilio Bernardoni, mettendo finalmente a disposizione di appassionati e curiosi del mondo di Puccini un documento sonoro che si pone, e lo affermo subito, come punto di riferimento. Ma il riferimento non riguarda solo l’aspetto storico e la testimonianza fattiva, in quanto la lettura o, per meglio dire, l’angolazione dalla quale Paolo Bottini ha affrontato questo progetto ha anche un valore interpretativo in sé. Questo perché se le pagine in questione non rappresentano un ostacolo insormontabile a livello tecnico, vantano però delle peculiarità espressive che dovevano essere calibrate e rese in maniera adeguata. Ciò ha significato il saper riproporre un mondo pucciniano, un suo scorcio, tra l’altro poco o punto conosciuto, restituendone un’atmosfera con la quale fissare l’arcata generale attraverso tutti questi brani, molti dei quali, è doveroso ammetterlo, sfiorano l’ambito e l’ascolto da sagra paesana.
Ma questa, ed è altrettanto doveroso farlo presente, era la tipologia di ascolto alla quale si rivolse il giovane Puccini, confinato in una realtà rurale, contadina, fatta di povera gente, la maggior parte della quale era analfabeta. Ergo, la musica da proporre non poteva che essere diretta, spontanea, tale da provocare un effetto di ricezione immediata, senza dimenticare che la sua nascita e la sua applicazione esecutiva avveniva, come si è già accennato, attraverso organi dalle possibilità tecniche alquanto limitate, se non addirittura essenziali.
Bene ha fatto, dunque, a mio parere, l’interprete cremonese a proporre questi brani cercando di “abbellirli” con l’utilizzo di due strumenti maggiormente strutturati e performanti, capaci di sviscerare quelle sfumature, quelle dimensioni sonore che magari Puccini aveva solo immaginato, senza poterle realizzare di fatto. Anche perché, e l’esecuzione di Paolo Bottini sembra dimostrarlo, la stragrande maggioranza di questi brani doveva per forza risultare gradevolmente “effettistica”, perfino in sede didattica. Da qui, la validità della lettura di Bottini sta proprio nel fatto di essere andato a scavare per poter riportare in superficie un suono, un’immagine sonora destinata a situazioni occasionali, che all’origine fu destinata a restare inevitabilmente occulta o non così manifesta come invece è riuscito a fare l’interprete cremonese.
La stessa decisione di smistare accuratamente la tipologia di brani attraverso l’organo Vegezzi/Bossi e l’organo Bossi/Giani è segno ulteriore, a mio avviso, di un lavoro fatto per poterli esaltare al loro meglio, assecondando le intenzioni “implosive” del giovane Puccini, il quale, nonostante il bisogno di fornire un approccio immediato alle sue composizioni, dimostra di saper padroneggiare la materia sonora, oltre ad aver dimestichezza con l’“universo-organo” (a tale proposito, tra il magma compositivo di questa integrale, emergono per fattezza e ricchezza di intenti armonici e melodici le Sonate n. 6 e n. 7, mentre per ciò che riguarda l’impianto sacrale, al di là della già citata Elevazione, colpiscono i Sei versetti in mi minore e in la minore, proprio per il fatto che la stessa tonalità invita il compositore ad andare a sondare elementi riflessivi e introspettivi, oltre al brano finale, ossia la Pastorella gravida, che vede l’Ur-Puccini trasformare le sonorità organistiche in un paesaggio agreste, bucolico, con un chiaro rimando alle zampogne che imbastiscono una danza ingenua e spontanea).
La presa del suono è stata effettuata da Federico Savio e anche in questo caso il risultato è stato positivo. Se proprio devo fare una scelta, l’esito migliore, a livello di parametri tecnici, è stato ottenuto con l’organo Bossi/Giani presente nella chiesa di Casalmaggiore. Questo perché lo strumento in questione vanta sonorità e timbriche più sciolte e brillanti, soprattutto nel registro acuto, rispetto al Vegezzi/Bossi, che risulta essere più “austero” e incapace di avere la medesima tavolozza di sfumature presenti nel primo. Inoltre, salvaguardando per entrambi un’ottima dinamica, ricca di energia e velocità, il palcoscenico sonoro manifesta un risultato migliore per ciò che riguarda la chiesa di Casalmaggiore, in quanto l’organo, a livello di emissione e di posizionamento nello spazio acustico, vanta una maggiore altezza e ampiezza. Ciò avvantaggia sicuramente sia il parametro dell’equilibrio tonale, con i registri che manifestano una maggiore pulizia e una marcata messa a fuoco, sia quello del dettaglio, dotato di una grana più fine e di una notevole matericità.
Andrea Bedetti
Giacomo Puccini – Complete Organ Works
Paolo Bottini (organo)
2CD Da Vinci Classics C00815
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4/5