Francesca Venturi Ferriolo e l’amore sconfinato per la viola
Intervista alla giovane violista la quale, oltre a insegnare presso la Musikschule a Hofheim am Taunus, ha registrato per la Da Vinci Classics un disco nel quale ha presentato sonate cameristiche per il suo strumento del periodo barocco
M° Venturi Ferriolo, perché ha privilegiato lo studio e l’applicazione della viola? Che cosa la fa preferire al violino?
La viola è stata sempre per me un amore senza rivali. Il suo ruolo nella scrittura musicale è davvero interessante e versatile, mi permette di vestire ruoli diversi, oltre al fatto che riesco a identificarmi maggiormente in un timbro di tessitura media: se la mia voce fosse uno strumento musicale, risuonerebbe senz’altro come la mia viola.
A livello filologico, come si è sviluppata nel corso del tempo la riscoperta della viola storicamente informata? Quali sono stati i musicisti e le scuole che hanno fornito l’apporto decisivo o, quantomeno, più importante?
A mio avviso, l’approccio cosiddetto “storicamente informato” alla letteratura violistica del periodo barocco e classico è strettamente legato alla riscoperta del repertorio barocco in generale. Un precedente lo abbiamo già nel 1726 con l’Academy of Ancient Music, ma è dal XX secolo in poi, con la fondazione della Schola Cantorum Basiliensis e attraverso le esecuzioni di musicisti come Ton Koopman, Frans Brüggen, Anner Bijlsma, i tre fratelli Kuijken e orchestre come Il giardino armonico, i Freiburger Barockorchester, Musica Antiqua Köln che si va sviluppando un vero e proprio approccio filologico all’esecuzione musicale.
Entrando nello specifico che la riguarda, quali sono gli autori che lei predilige e che hanno lasciato un’impronta fondamentale, tra il Seicento e il Settecento, per lo sviluppo e l’autonomia strumentale della viola?
La storia della viola barocca è senza dubbio legata alla storia del violino barocco in quanto non esisteva una netta distinzione intesa come professione musicale, bensì un diverso ruolo da svolgere in ambito orchestrale e cameristico, anche nell’ottica di ricercare sonorità diverse o di adattarle alle circostanze contingenti. Sicuramente Georg Philipp Telemann, con il suo concerto in sol maggiore per viola e orchestra fu uno dei primi compositori ad emancipare la viola dal suo ruolo di accompagnamento orchestrale, seguito dalla scuola di Mannheim con Hoffmeister e gli Stamitz. Gli autori a cui sono maggiormente interessata sono i compositori della scuola di Berlino (Graun, Janitsch, Schaffrath e molti altri) che nella seconda metà del Settecento danno luogo a una vasta produzione di repertorio solistico per viola in ambito orchestrale e cameristico. In generale, si tratta di compositori che godevano di vasta fama e gloria in vita ma che purtroppo oggi sono ancora ingiustamente nell’oblio. Forse è stata proprio la fin troppo grossolana definizione di “epoca di mezzo”, usata per definire la produzione musicale di fine Settecento, a creare una zona “d’ombra” su questo repertorio.
Lei insegna sia violino, sia la viola. Attraverso la sua attività didattica gli allievi come affrontano lo studio dell’uno e dell’altra? Intendo dire, quali sono le difficoltà specifiche che riguardano questi due strumenti, i quali, apparentemente, sono simili?
È difficile parlare di difficoltà in senso assoluto, molto dipende dall’approccio e dal carattere di ogni studente/studentessa. La viola non è uno strumento con misure standardizzate e a volte alcuni passaggi sono più difficili da gestire rispetto magari a un violino o un flauto. La viola è anche più pesante da tenere e bisogna approfondire molto la cavata dell’arco per ottenere una buona qualità del suono. I violinisti, invece, devono confrontarsi con un repertorio molto virtuosistico che nella maggior parte dei casi richiede un approccio differente. Alla fine, anche le difficoltà sono molto legate alla funzione che il proprio strumento va a svolgere: ci sono studenti che hanno più facilità a suonare da soli, per esempio, che a stare in un gruppo da camera e viceversa a prescindere dal livello tecnico di ognuno o dallo strumento che si suona. Il ruolo dell’insegnante penso sia quello di offrire un caleidoscopio di possibilità tecnico- interpretative e incoraggiare lo/la studente/studentessa a trovare la strada interpretativa che più gli/le si addice.
Che strumento suona abitualmente? Si tratta di una copia o di una viola storicamente originale?
Io suono una copia della “Stauffer” di Girolamo Amati costruita da Maurizio Vella. L’originale è del 1615 e si trova a Cremona presso il museo del violino.
Un’ultima domanda. Dopo questa registrazione discografica fatta per la Da Vinci Classics, intende proseguire a indagare nel prossimo disco lo stesso tipo di repertorio cameristico o pensa di focalizzare la sua attenzione su un solo autore?
Il programma del prossimo disco è cameristico, con Trii di Haydn e Tomasini per baryton, viola, violoncello che inciderò con i miei colleghi Patxi Montero e Giorgio Casati nel luglio di quest’anno. Non escludo la possibilità di un album monografico nel prossimo futuro, il quale possa mettere in luce ancora di più la versatilità e il fascino interpretativo della viola barocca.
Andrea Bedetti
Per maggiori informazioni: www.francescaventuriferriolo.com