Ennio Morricone, l’“esoterista dei suoni” prestato al cinema
Bisognava guardare il volto di Ennio Morricone diventare triste, pregno di delusione e di amarezza, allorquando veniva avvicinato e gli veniva detto che era un grande compositore di musiche da film. Sebbene sorridesse e mormorasse un fugace ringraziamento, si vedeva che ne soffriva, ma lo faceva in silenzio, stringendo la mano e poi allontanandosi furtivo, quasi la sua presenza desse fastidio. E se mai c’è stato un artista che ha pagato a carissimo prezzo il suo successo, questo è stato sicuramente il grande compositore romano, il cui nome, ancora oggi e chissà per quanto altro tempo, viene sempre, implacabilmente accostato alle sue colonne sonore, mentre la sua produzione realmente “colta”, affascinante, visionaria, coltivata e cresciuta all’ombra di quel formidabile momento e movimento di musica contemporanea intitolato Nuova Consonanza, resta ancorata, inchiodata a una dimensione purtroppo del tutto “esoterica”, ascoltata e ammirata da addetti ai lavori e da coloro che hanno saputo cogliere l’intera essenza artistica di Morricone, il quale ci ha lasciato ormai da più di due anni.
Quindi, giunge a dir poco provvidenziale un progetto discografico, dal titolo Absolutely… Ennio Morricone e che non è previsto in un solo disco, pubblicato dalla Da Vinci Classics e che vede protagonisti la pianista Gilda Buttà, il violoncellista Luca Pincini e il flautista Paolo Zampini in un programma di opere originali ed arrangiamenti composti dal grande compositore, in un efficace ed emozionante mix che unisce i due lati del musicista romano, quello noto a tutti, riguardante la “musica applicata” e quello noto a pochissimi, concernente la sua “musica assoluta”. Le illuminanti note che accompagnano il disco, redatte da Giovanni D’Alò, chiariscono assia bene la dicotomia apparentemente “forzata” che ha contraddistinto i due sentieri musicali di Morricone, i quali sono per l’appunto entrambi presenti in questo disco.
Partiamo dai brani composti dal musicista nell’ambito della sfera della “musica assoluta”: Invenzione, Canone e Ricercare è un trittico pianistico, che rientra a pieno titolo nella prima fase dell'attività compositiva di Morricone, quella che precede le sue composizioni cinematografiche. L’anno di composizione di questa pagina risale al 1956, anche se il Ricercare è precedente di quattro anni. Il titolo di questa composizione rappresenta di per sé una cartina al tornasole, in quanto precisa fin da subito una delle caratteristiche peculiari dell’ambito creativo del musicista romano, presente anche nella sfera della “musica applicata”, quella di richiamarsi, a livello di modello, alle forme architettoniche della tradizione antica e a un’evidente predisposizione ai processi contrappuntistici, le cui basi prendono le mosse da autori quali Frescobaldi, Bach e il primo Petrassi, i quali saranno sempre dei fedeli compagni di viaggio in tutto l’iter compositivo di Morricone.
Risale invece al 1972 il brano Proibito, dedicato «agli amici dell’Improvisation Ensemble Nuova Consonanza». Concepito originariamente per una tromba, il cui suono è sovrapposto a se stesso in un nastro di sedici tracce (nel caso di una registrazione in studio) oppure per otto trombe amplificate (nel caso di un’esibizione dal vivo in una sala da concerto), più che un pezzo fissato sul pentagramma, si tratta di uno schema di improvvisazione e rappresenta una tipica composizione pensata per l’ensemble di musica contemporanea in questione, fondato nel 1958 da Franco Evangelisti, il primo gruppo musicale europeo costituito da compositori dediti all'improvvisazione in chiave classica e non jazzistica. Fu poi lo stesso Morricone a chiedere proprio a Luca Pincini, uno dei suoi collaboratori di lunga data (come, d’altronde, Gilda Buttà e Paolo Zampini) di realizzare una versione per violoncello e brani preregistrati. La trascrizione fatta dal violoncellista romano non è solo un esempio di fedeltà alla partitura originale, ma, allo stesso tempo, anche di elaborazione timbrica, che si va ad applicare idealmente sul suo strumento, il quale è in grado di riproporre anche la vasta gamma di "rumori" e di interventi percussivi concepiti per la tromba e trasposti sullo strumento ad arco con una resa che evidenzia, ancora una volta, il rigore "classico" delle composizioni di Morricone, capaci di trasmigrare con efficacia da uno strumento all'altro, senza perdere un'oncia della loro intensità artistica.
Un brano “ibrido”, per così dire, posto in bilico tra “musica assoluta” e “musica applicata”, è Addio a Pier Paolo Pasolini, composto nel 1975 per Salò o le 120 Giornate di Sodoma, l’ultimo film del cineasta e scrittore friulano. Pasolini, nell’occasione, chiese espressamente a Morricone di comporre un brano utilizzando il linguaggio dodecafonico, la cui totale estraneità in chiave melodica avrebbe dovuto accompagnare e sostenere con i suoni una scena particolarmente cruda della pellicola, ossia quando una pianista, resasi conto delle atrocità che i protagonisti perpetrano sui loro giovani prigionieri, suona il pianoforte e, alla fine, si toglie la vita gettandosi da una finestra. Colpito dalla morte violenta del regista, che avvenne poche settimane dopo aver terminato il film, Morricone decise di dedicargli questa composizione. Il suo contesto “ibrido” risiede quindi nel fatto che per le sue peculiarità la musica in questione può risultare anche del tutto avulsa dalle sue necessità “applicative” in ambito cinematografico e giustamente D’Alò suggerisce che può essere ascoltato come se si trattasse di un Klavierstück di Arnold Schönberg.
Un aspetto interessante di questo progetto discografico è dato da come la frattura tra “musica assoluta” e “musica applicata” possa essere colmata o quantomeno trasfigurata mediante l’apporto degli strumenti musicali o anche dal processo di trascrizione di determinate composizioni di Morricone, strumenti o trascrizioni capaci di mettere in evidenza aspetti del linguaggio compositivo cinematografico che nella versione originale od orchestrale non vengono evidenziati in modo esauriente e che, nella loro pienezza creativa, rimandano quindi a germinazioni, a influenze presenti nella sfera della “musica assoluta”. Nel caso specifico, il programma di questo disco vede la presenza di una colonna sonora, quella dedicata al film La corta notte delle bambole di vetro diretto da Aldo Lado nel 1971, con Jean Sorel, Barbara Bach, Ingrid Thulin e Mario Adorf, una pellicola assai particolare, una sorta di thriller psicologico con venature sperimentali (almeno rispetto all’epoca nella quale fu girato), sulla falsariga di quelli diretti da Roman Polański tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Il flauto e il pianoforte riescono a condensare l'idea di ricerca e di esplorazione di quello sfruttamento sonoro che all’inizio degli anni Settanta fu considerato sperimentale, ma che oggi risulta essere ormai pienamente acquisito.
E poi, naturalmente, ci sono esempi di “musica applicata”, ma visti, considerati, espressi, fatti affiorare, per mettere in risalto la lucida scrittura creativa, proprio con l’intervento dei tre strumenti in questione, oppure con flauto e pianoforte e violoncello e pianoforte o, ancora, con il solo pianoforte di Gilda Buttà. I tre strumenti intervengono coralmente nel celeberrimo Gabriel’s Oboe dal film The Mission, la cui resa melodica non pregiudica la mirabile costruzione armonica del brano, mentre il pianoforte e lo strumento a fiato vengono chiamati in causa nel tema conduttore di quello splendido film che è stato Per le antiche scale di Mauro Bolognini, tratto dall’omonimo romanzo di Mario Tobino (autore, quest’ultimo, messo ultimamente e ingiustamente un po’ da parte, sia dalla critica, sia dai lettori). Al violoncello e al pianoforte è invece affidata la particolare Suite Tornatore, che presenta cinque brani distinti, ossia i temi portanti dai film La leggenda del pianista sull'oceano (La leggenda del 1900), Nuovo Cinema Paradiso (con il Main theme e il Love theme), Malèna e Una pura formalità, la cui stesura e la cui preziosità plastica fanno sì che possano trasformarsi in altrettanti movimenti che danno vita a una composizione coesa e coerente nelle sue arcate globali.
Infine, al solo pianoforte tocca il compito di enunciare un’altra suite, quella che porta il titolo di 4 Canzoni, la quale rende omogenei, del tutto fluidi nel loro scorrere armonico e temporale, altrettanti temi di pellicole dal genere a dir poco diverso, quali White Dog, Stark System (le cui musiche sono assai poco conosciute) con quelli, al contrario, famosissimi, come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Metti una sera a cena (Cerchio d’amore). C’è poi il tema di Love affair, il film prodotto e interpretato da Warren Beatty nella forma originale qui presentata, sempre al solo pianoforte, mentre Deborah’s Theme”, altro celeberrimo brano tratto dal capolavoro di Sergio Leone C’era una volta in America, è presentato nella riduzione al pianoforte, elaborata da Morricone in un secondo momento, riduzione che, a differenza della versione orchestrale, mette in luce la sua diafana frammentarietà.
Non mi vergogno se affermo di aver avuto le lacrime agli occhi ascoltando la lettura fatta dai tre interpreti di questa registrazione. Qui non conta tanto il fatto che Gilda Buttà, Luca Pincini e Paolo Zampini sono stati diretti collaboratori di Ennio Morricone, e quindi pienamente avvezzi alla sua musica, quanto per aver saputo estrapolare dalla materia musicale investita ogni molecola realmente espressiva, il cuore stesso del suo essere messaggio musicale; passione, compartecipazione, lucidità assoluta nel rendere il concetto di disincantata “testimonianza” di tali composizioni, ecco il succo di quanto da loro offerto. E poi colpisce un altro particolare, che a mio avviso rappresenta il fondamento stesso di questo progetto discografico, quello di annullare le due sfere, di annientare il contorno dimensionale dell’essere “musica applicata” e di quello di “musica assoluta”, annunciando, al contrario, la totale unitarietà che contraddistingue la visione dei suoni nel compositore romano. La sua purezza stilistica, la sua concezione d’assieme non possono essere relegate in precisi compartimenti stagni, in quanto sia nella cosiddetta musica per il cinema, sia nelle esplorazioni sperimentali vi è sempre un germe comune, un denominatore comune frutto della grande lezione del passato, della quale Morricone si è nutrito fino alla fine, mai rinnegando e mai manipolando, ma sapendo creare sempre un qualcosa di nuovo in nome del vecchio.
Certo, una nota di merito particolare va a Gilda Buttà, la cui plasticità gestuale dell’atto pianistico è semplicemente da incorniciare; le composizioni di Morricone, nella loro unitarietà creativa, sono una fucina di sfumature timbriche in continua evoluzione (perfino i brani in cui l’elemento melodico viene meno vantano una loro inconfondibile melodia) e l’interprete siciliana riesce sempre, con una chiarezza che si trasforma in meravigliosa espressione, a offrirle una ad una, senza mai cedere, e questo è un merito che dev’essere riconosciuto anche a Luca Pincini e a Paolo Zampini, all’autocompiacimento, alla tentazione di cadere nella trappola dell’emozione facile e a buon mercato. Perché anche negli aspetti apparentemente più fruibili, più accattivanti, più assimilabili, la musica di Ennio Morricone trasuda studio, ricerca, amore, capacità di sfruttare ogni stilla del linguaggio creativo. E gli artisti in questione sono stati in grado di farlo e di trasmetterlo con un’interpretazione che non cede il passo al sentimento d’accatto, alla banalità di un frisson destinato ad annullarsi repentinamente, ma con incrollabile onestà artistica e intellettuale. E noi, per questo, non possiamo fare altro che ringraziarli.
La presa di suono è stata curata da Fabio Venturi, altro fedele e stretto collaboratore di Ennio Morricone e il cui risultato finale va a uniformarsi con quanto affermato nell’ambito artistico della registrazione. La dinamica è un concentrato di energia esplosiva e di accurata naturalezza, il che permette di restituire degnamente quelle sfumature timbriche di cui si è detto e di apprezzare il correttissimo decadimento degli armonici nei tre strumenti. Ne consegue un palcoscenico sonoro nel quale il pianoforte, il violoncello e il flauto vengono ricostruiti attraverso un’immagine che risulta essere molto ravvicinata rispetto l’ascoltatore (indubbiamente, la microfonatura è stata effettuata in modo alquanto ravvicinato), ma proprio per via dell’eccellenza dimostrata dalla dinamica, ciò non risulta essere scorretto: è come se chi ascolta si trovi a non più di un paio di metri dagli interpreti, coinvolgendolo in modo totale all’interno dell’evento musicale. L’equilibrio tonale è altrettanto pulito e ampiamente scontornato nella proposizione del registro medio-grave e di quello acuto degli strumenti, esente da impasti o sovrapposizioni. Infine, il dettaglio propone quasi un livello tattile degli strumenti, con una tridimensionalità fisica di altissima finitura.
Andrea Bedetti
Ennio Morricone – Absolutely… Ennio Morricone I
Gilda Buttà (pianoforte) - Luca Pincini (violoncello) - Paolo Zampini (flauto)
CD Da Vinci Classics C00580