Du côté de la Maison Érard

Nell’immaginario collettivo, sul quale Carl Gustav Jung ha scritto pagine a dir poco mirabili, quello eminentemente più affine alla materia della musica occidentale colta, quando si pensa alla fabbrica Érard, la sia associa giustamente ai celebri pianoforti e, anche, a Franz Liszt, il quale ne rappresentò un formidabile veicolo pubblicitario, visto che li scelse per esibirsi in tutta Europa. In realtà, questo illustre nome non è riconducibile soltanto ai pianoforti, ma anche alle arpe, visto che il fondatore di questa maison, Sébastien Érard, nato a Strasburgo nel 1752 e morto a Passy nel 1831, fu un valente e geniale costruttore sia di strumenti a tastiera, a cominciare dai clavicembali passando ben presto ai più moderni e articolati pianoforti, sia di questi strumenti pizzicati. E il binomio musicale, offerto da alcune pagine cameristiche dedicate a questi due strumenti, viene adesso vivificato attraverso un’interessante e recentissima produzione discografica della Da Vinci Classics, che vede il Duo Cordé, formato dall’arpista Giuliano Marco Mattioli e dal pianista Andrea Rocchi, interpretarle proprio su due strumenti storici della leggendaria casa francese, per la precisione un’arpa Érard Stile Louis XVI n. 3408 del 1908 e un grand piano Érard Modèle Réduit n. 78054, entrambi appartenenti alla collezione dello stesso Mattioli.

La cover del CD Da Vinci Classics con pagine cameristiche dedicate all'arpa e al pianoforte di costruzione Érard.

Prima di passare alla disamina del programma registrato dall’arpista emiliano, tra l’altro autore anche di un pregevolissimo saggio dedicato proprio alla famiglia Érard, pubblicato nel 2022 dalla Zecchini Editore, e dal pianista lombardo, è il caso di ricordare alcuni punti che riguardano proprio la nascita e l’evoluzione della Maison Érard, prendendo anche spunto dalle note di accompagnamento al disco, curate dallo stesso duo. Tanto per sancire l’importanza di questo nome nel mondo dei costruttori musicali, basterà ricordare che nel corso della sua attività, che si è protratta per  oltre un secolo e mezzo, ha depositato non meno di trenta brevetti per il pianoforte e tredici per l’arpa. Fondata a Parigi nel 1788 da Sébastien Érard, insieme con il fratello Jean-Baptiste, due anni dopo la ditta dovette affrontare subito un problema non indifferente a causa della Rivoluzione francese (ai rivoltosi non andò giù il fatto che, in precedenza, tra i suoi clienti ci fossero stati Luigi XVI e Maria Antonietta), il che obbligò i due fratelli ad aprire un’altra fabbrica a Londra, la quale fino al 1821 si dedicò esclusivamente alla realizzazione di arpe, con quest’ultima diretta da  Sébastien, mentre Jean-Baptiste continuò a dirigere la casa madre parigina.

Sébastien Érard in una stampa dell'epoca.

Come ricorda il Duo Cordé nel booklet, Sébastien e Jean-Baptiste furono quindi costretti a rimanere separati per diversi anni, pur continuando ad avere un legame tramite una fitta corrispondenza, con la quale si scambiarono anche gli aggiornamenti riguardo ai progressi fatti dai rispettivi stabilimenti. Quantomeno da ricordare il loro primo brevetto per arpa, che fu dapprima depositato nel 1794 a Londra e in quello parigino nel 1798, il quale conteneva un’invenzione davvero rivoluzionaria nell’ambito del meccanismo di alterazione delle corde, quello rappresentato dalle cosiddette fourchettes. Questo tipo di meccanismo sostituì quello a crochets, che era stato utilizzato fin dall’avvento dell’arpa a pedali. Anche il meccanismo a fourchettes era in grado di alterare ogni corda di un singolo semitono ma, considerata l’elevata richiesta di arpe, si pose inevitabilmente l’esigenza di aumentare le possibilità cromatiche dello strumento, obbligando i diversi liutai francesi e inglesi a ideare continue invenzioni che dessero a questo strumento pizzicato la capacità di suonare in più tonalità. Questa ulteriore conquista fu raggiunta proprio dai fratelli Érard nel 1810, allorquando l’arpa a pedali a doppia azione di loro invenzione consentì di ottenere tre suoni per corda, ossia il bemolle, il naturale e il diesis.

Ciò che valse per l’arpa, nella filosofia costruttiva dei due fratelli francesi, lo fu anche per il pianoforte. Dopo aver inizialmente realizzato i cosiddetti strumenti carré, ossia di forma rettangolare, Sébastien e Jean-Baptiste svilupparono i primi modelli a coda già a partire dal 1789. Inoltre, nel 1821, nello stabilimento londinese fu perfezionato il meccanismo del doppio scappamento (che consiste in una corda che fa rimbalzare il martelletto prima che ricada completamente, mantenendolo a mezz’aria), che cambiò radicalmente le possibilità tecniche e musicali dello strumento a tastiera, rendendo possibile colpire lo stesso tasto con grande velocità.

Venendo ora al disco in questione, è bene precisare subito che si tratta di una registrazione filologicamente corretta, come d’altra parte si può constatare dalle specifiche dei due strumenti musicali utilizzati. L’arpa, laccata con Vernis Martin verde con scaglie d’oro, vanta caratteristiche costruttive e acustiche simili alle arpe brevettate da Pierre Érard nel 1835, anche se presenta i miglioramenti introdotti nel 1873 alla meccanica dello strumento. Fino al 2013, questo modello ha fatto parte della collezione di Jean-Michel Damase, compositore e figlio della grande arpista Micheline Kahn. Invece, il pianoforte, in palissandro frisé cerato, è un modello a coda, ma più piccolo, introdotto a partire dal 1874, con la cordiera che presenta la tipica disposizione dei pianoforti Érard con corde parallele e barra armonica. Sulla base di tali peculiarità, Giuliano Marco Mattioli e Andrea Rocchi hanno voluto imbastire un programma basato su pagine cameristiche composte tra il XIX e il XX secolo, vale a dire, al di là del brano iniziale della playlist, in cui il Duo Cordé arrangia Lo Sposalizio S. 161, tratto dal secondo anno degli Années de Pèlerinage di Franz Liszt, il Grand Duet di John Thomas in mi bemolle minore, il Fantasiestück Op. 87 di Paul Bazelaire, il Prélude à deux di George Elbert Migot e, per finire, il primo brano del Ciclo plateresco, ossia Tema y variaciones Op. 100, di Joaquín Turina.

Chi conosce Lo Sposalizio può comprendere per quali motivi il Duo Cordé ha voluto adattarlo per arpa e pianoforte; nella versione originale lisztiana, che vuole essere una libera rievocazione delle impressioni provate alla vista della celebre tela di Raffaello sulle nozze tra Maria e Giuseppe conservata nel museo di Brera a Milano, la tessitura sonora è assai delicata e di chiara intonazione spirituale, oltre a presentare accordi votati a una trasfigurazione che impregna il pezzo di una dimensione mistica. L’adattamento (che prende spunto anche dalla versione per due pianoforti effettuata da Aleksandr Glazunov), invece, vede il breve motivo iniziale affidato all’arpa, la quale esplora il materiale sonoro variando e diminuendo, con la chiara intenzione di espandere la struttura lisztiana.

L'arpista francese Henriette Renié, allieva di Alphonse Hasselmans.

Ovviamente, il resto del programma è all’insegna dell’arpa, a cominciare dal Grand Duet del gallese John Thomas (tra l’altro, anche arpista della regina Vittoria), il quale è conosciuto soprattutto dai cultori di questo strumento. Il brano in questione, che può essere eseguito sia nella versione per duo di arpe, sia per quella per arpa e pianoforte, pur nella sua tipica brillantezza, rispetto al resto della produzione del musicista gallese offre delle soluzioni stilistiche più elaborate, tali da mettere in luce il connotato virtuosistico dello strumento pizzicato e di quello a tastiera. Restando nel cliché virtuosistico, anche il Fantasiestück (qui presentato in prima assoluta mondiale) del compositore e violoncellista francese Paul Bazelaire, la cui opera è radicata nella prima metà del Novecento, è all’insegna di una indubbia raffinatezza costruttiva. Il brano, dedicato all’arpista e compositrice Henriette Renié, allieva del leggendario Alphonse Hasselmans, vanta difatti un costrutto nel quale la materia viene elaborata abilmente o in densi episodi contrappuntistici e imitativi, oppure estrapolandone dei frammenti utili per generare altro materiale tematico, con il risultato di offrire qualcosa che all’ascolto si rinnova costantemente.

Se c’è un compositore la cui vita e la cui opera devono ancora conosciute e valorizzate adeguatamente, questo è sicuramente il parigino George Elbert Migot, nato nel 1891 e morto nel 1976. La data di nascita e di morte non devono trarre in inganno, in quanto questo musicista, poeta e pittore rimase sempre alla larga dalle tentazioni avanguardiste e moderniste nel mondo sonoro del Novecento, ma affascinato, al contrario, dalla musica antica e soprattutto da quella medievale. Avendo studiato composizione con Charles-Marie Widor e orchestrazione con Vincent D’Indy al Conservatorio di Parigi, non ci si deve stupire, quindi, se ascoltando il suo Prélude à deux, che può essere eseguito nella versione per due clavicembali o in quella per arpa e pianoforte, scritto nel 1932, sembra di tornare indietro di duecento anni. A mio avviso, questo è il brano più affascinante di questo programma, in quanto mette in luce la straordinaria capacità di Migot di saper assemblare un costrutto nel quale le dissonanze espresse dai due strumenti si vanno ad amalgamare idealmente in sonorità coniugate da una scrittura squisitamente contrappuntistica, in cui abbondano trilli e acciaccature che rimandano ad autori barocchi particolarmente amati dal compositore parigino, quali Rameau e Couperin, in un perfetto connubio tra antico e moderno.

Il compositore, poeta e pittore parigino George Elbert Migot.

Quanto espresso poi nel brano che conclude il disco, Tema y variaciones di Joaquín Turina (scritto nel 1945), non si discosta, a livello di costruzione strutturale, rispetto a quanto fatto da Migot nel suo pezzo. Basandosi sul concetto/evocazione del termine di plateresco, che deriva dallo stile architettonico spagnolo del XV e XVI secolo, caratterizzato da una ricca ornamentazione in argento, il compositore spagnolo intende creare un processo osmotico tra passato e presente. Il passato viene evocato attraverso il sistematico ricorso di generi musicali tradizionali spagnoli, come il farruca e il falseta, derivati entrambi dal flamenco, che Turina inserisce classicamente sotto la tipica forma di tema e variazioni, instillando così simbolicamente la ricca ornamentazione del plata, ossia dell’argento che era incorporato nello stile architettonico dal quale prende il nome.

Premesso che l’ascolto di questo disco andrebbe fatto anche solo per la bellezza del timbro evocato da questi due straordinari strumenti, appare scontato che la scelta dei brani fatta dal Duo Cordé vada ad esaltare le peculiarità sonore dell’arpa e del pianoforte, anche se non si deve dimenticare l’apporto musicologico, in quanto la playlist permette di avere uno spaccato preciso del genere cameristico in questione nel quadro del passaggio tra il secondo Ottocento e il Novecento storico, con perle assolute, come quelle di Migot e Bazelaire. A ciò si unisce la caratura dell’interpretazione che, attraverso la cortina di una pacata sobrietà del gesto e dell’espressione, lascia sempre trasparire una lucidità di intenti dalla quale risulta chiaro come Giuliano Marco Mattioli e Andrea Rocchi siano riusciti perfettamente a restituire l’esprit incarnato da questi brani. La portata è tale che il risultato, alla fine, sembra un viaggio intrapreso in una dimensione atemporale, disgiunta da un processo semplicemente storico, poiché la materia sonora evocata, sgomitolata e offerta, riesce ad essere perfettamente autosufficiente, capace di vivere e resistere di luce propria, facendo scoprire, per chi non la conosce ancora, uno spicchio della creatività musicale ancora riservata a pochi. E poi, l’affiatamento, il senso di quella proprietà esecutiva che permette di amalgamare le differenti sonorità, portando a compimento l’atto magico dell’unicum musicale, senza il quale ogni sforzo, ogni tentativo di realizzazione interpretativa svilisce irrimediabilmente. Imperdibile.

Gli interpreti di questa registrazione. A sinistra, l'arpista Giuliano Marco Mattioli e, a fianco, il pianista Andrea Rocchi.

Anche la presa del suono è di ottimo rilievo e ciò è un valore aggiunto, in quanto è riuscita a preservare e a restituire i timbri e le relative sfumature che questi due strumenti riescono a evocare. La dinamica è sufficientemente energica, oltre a vantare una buona velocità dei transienti e una a dir poco necessaria naturalezza. Anche la ricostruzione dell’evento sonoro, nel parametro del palcoscenico sonoro, è di buona fattura, con i due strumenti disposti al centro dei diffusori e con l’arpa leggermente avanzata rispetto al pianoforte, con un suono capace di irradiarsi in altezza e in ampiezza. Allo stesso modo, l’equilibrio tonale, altro parametro a dir poco critico con strumenti di tale portata, ha superato ampiamente la prova, con un pieno rispetto dei registri dell’arpa e del pianoforte, i quali, oltre a non impastarsi tra loro, sono sempre riconoscibili tra il medio-grave e l’acuto. Infine, il dettaglio riesce a restituire adeguatamente la tridimensionalità fisica degli strumenti, grazie a un’ottima matericità e a dosi ragguardevoli di nero che li circondano adeguatamente.

Andrea Bedetti

 

AA.VV. – Le temps d’Érard - Music for harp and piano on original Érard instruments

Duo Cordé - Giuliano Marco Mattioli (arpa) - Andrea Rocchi (pianoforte)

CD Da Vinci Classics C00969

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4/5