Benedetto Carulli e il “Bignami” della Semiramide rossiniana
Disco del mese di Giugno 2023
Ci sono delle opere che, al di là del loro valore stilistico e artistico, possono essere considerate ideali anche per comprendere meglio altri capolavori musicali dei quali rappresentano delle dirette trascrizioni. Non mi riferisco tanto alle parafrasi pianistiche di arie operistiche, le cui variazioni o cambiamenti in chiave virtuosistica non permettono di assimilarne la dimensione originaria dalle quali provengono, quanto a quei lavori che, con l’utilizzo di pochissimi strumenti, riescono a fornire idealmente una rappresentazione dell’opera lirica che intendono riproporre. Questa pratica fu in auge soprattutto nel nostro Paese, a partire dalla fine del Settecento per poi imperversare, spadroneggiare e dominare quella che può essere considerata la versione italica della germanica Hausmusik, visto che diede la possibilità a un gruppo ristrettissimo di esecutori di rielaborare quasi sempre in ambito domestico arie, passaggi, atti e opere più o meno complete del repertorio melodrammatico da Rossini fino a Verdi.
Un perfetto esempio di tali trascrizioni e riduzioni, che per l’accuratezza, gli elementi operistici inclusi e per la capacità di presentarne i tratti salienti possono essere tranquillamente definiti (senza peccare di grossolana ironia) dei veri e propri “Bignami” in chiave musicale, è dato da un recentissimo disco pubblicato dalla Fluente Records, Melodie esposte in forma di duetto concertante per due clarinetti sulla Semiramide di Gioachino Rossini, opera del compositore e clarinettista Benedetto Carulli, con Corrado Giuffredi e Simone Nicoletta ai clarinetti.
Il nome di Carulli, al di là della ristretta cerchia degli appassionati di questo strumento a fiato, non è molto conosciuto, quindi è bene iniziare con una breve e dovuta infarinatura; nacque nel 1797 a Olginate, centro lacustre lariano, da Giuseppe Antonio Carulli, un editore musicale. Allievo di Giuseppe Adami al Conservatorio di Milano, poi docente di clarinetto nello stesso conservatorio per ben cinquantasei anni, Benedetto Carulli ebbe tra i suoi allievi futuri clarinettisti quali Ernesto Cavallini, Luigi Bassi e Romeo Orsi. Inoltre, fu clarinetto solista alla Scala per due decenni, tra il 1830 e il 1850, senza dimenticare che, con il flautista Giuseppe Rabbouni, l’oboista Carlo Ivon e il fagottista Antonio Cantù, formò un quartetto di fiati celebre in tutta Europa. Alla morte del padre, Carulli tentò anche di proseguirne il lavoro di editore musicale, ma dopo appena un anno, nel 1831, decise di vendere il catalogo delle opere pubblicate (circa trecento titoli) alla casa Ricordi. Autore di un testo didattico dedicato al suo strumento, il Metodo per clarinetto (pubblicato intorno al 1840 per i tipi dei Fratelli Lucca a Milano), il musicista di Olginate vanta un discreto numero di lavori scritti e pubblicati durante la sua vita (morì a Milano nell’aprile 1877), concentrati proprio nella trascrizione e nella riduzione per clarinetto di celebri opere liriche dell’epoca, oltre alla Semiramide rossiniana, si ricordano soprattutto quella per il Marco Visconti di Errico Petrella e il Rigoletto di Giuseppe Verdi.
Per la stragrande parte della popolazione dell’epoca, assistere a una rappresentazione operistica rappresentava, a livello economico, un lusso equiparabile a un miraggio in pieno deserto e quindi molti musicisti trovarono modo di guadagnarsi la quotidiana pagnotta consacrando buona sostanza del loro lavoro proprio nel ridurre e trascrivere le voluminose partiture operistiche più famose con l’ausilio di strumenti maggiormente consoni nel trovare un comodo spazio in case private o in piccoli locali pubblici, nei quali poter riproporre arie, romanze, ouverture dei titoli teatrali maggiormente à la page.
Entrando nello specifico, se la riduzione carulliana del capolavoro rossiniano vanta alcuni meriti, questi si concentrano soprattutto in due distinti punti: il primo è che la trascrizione della partitura effettuata sulla base della presenza di due strumenti a fiato, per altro uguali, non perde una sola oncia di efficacia, sia a livello armonico che melodico; il secondo, che scaturisce inevitabilmente dal primo punto, è che la resa stilistica è tale che il dialogo tra i due clarinetti, con il primo a riproporre le linee guida della tessitura e il secondo a manovrare e a gestire anche la struttura del basso (proiettando di conseguenza la massa orchestrale liofilizzata), da far affiorare le molteplici sfumature psicologiche che si annidano nella Semiramide rossiniana, assume i caratteri di un continuo confronto stilistico, all’interno del quale trovano puntualmente posto quegli aspetti psicologici, drammatici e focali dell’opera del compositore pesarese.
Il lavoro carulliano è spalmato su cinque duetti, oltre a riproporre la Sinfonia iniziale, per un totale di ventitré brani, che vanno praticamente a coprire l’intera partitura, ovviamente tenendo conto, come fece per l’appunto il musicista di Olginate, nel privilegiare quelle cavatine e quelle arie maggiormente idonee sia per dare vita a un fluire melodico, conferendo in tal senso un’“autonomia” stilistica alla versione per il duo clarinettistico, sia per restituire un’idea generale dell’opera rossiniana in sé. Quindi, una ricerca basata su un duplice equilibrio, sul filo del quale l’autonomia della riduzione e il quadro operistico originario avrebbero dovuto convivere, restituendo, nello sviluppo della componente armonica (la cui ricchezza nella versione rossiniana continua ad essere fonte di dibattito e di approfondimento in ambito musicologico, a tale proposito rimando all’intervista con Mario Marcarini, ideatore del progetto discografico carulliano), questa duplice peculiarità.
Il risultato? Una premessa doverosa: chi mi segue, sa perfettamente che non sono un entusiasta cultore di questo genere di composizioni, soprattutto se rappresentano elaborazioni, trascrizioni o riduzioni provenienti da ambiti operistici, soprattutto del panorama italico ottocentesco, ma devo ammettere (e nemmeno a denti stretti) che questa volta, nello specifico la sagacia compositiva di Benedetto Carulli, è riuscita a dare vita a un lavoro decisamente interessante, poiché, per i motivi addotti sopra, ha saputo mantenere fede a quel duplice obiettivo; così, se da una parte, nella loro concezione “autonoma”, queste Melodie vantano una freschezza, una loro ragion d’essere, ésprit di un tempo, di una raffigurazione culturale volta a un progetto di identificazione nazionale, il cui emblema guida era dato anche (e soprattutto) dalla produzione operistica, collante sociale e dispenser umorale dei vari ceti, sia durante l’occupazione austriaca prima (nei territori della penisola ovviamente coinvolti), sia in quel processo di progressiva acquisizione di “identità” (Massimo D’Azeglio docet) a partire dal 1861; dall’altra, e qui torniamo a bomba con la definizione in chiave nobile del termine “Bignami”, l’accuratezza, la sistematicità con la quale Carulli ha saputo restituire la modalità “melodica” dei momenti più rappresentavi della Semiramide rossiniana, offrendo un percorso d’ascolto guidato, tale da farne una perfetta introduzione per coloro che non conoscono il capolavoro del compositore pesarese, così come un ulteriore strumento di approfondimento, per coloro che invece già conoscono i meccanismi del suo linguaggio musicale, per ciò che concerne il susseguirsi dell’impalcatura armonica e della quale lo sviluppo melodico ne è la conseguente (e geniale) applicazione.
Certo, bisogna fare i conti anche con il tipo di approccio e di resa della lettura in una partitura del genere, il che, tecnicamente ed espressivamente, non è uno scherzo, anzi. Senza poi tener conto di un altro fatto, ossia che ci troviamo di fronte ad un ascolto (soprattutto se non si conosce l’opera rossiniana) che dura più di un’ora, con la sola presenza di un duo clarinettistico. Ma di fronte a questi possibili ostacoli (è forse anche per tali motivi che, mai prima di adesso, il lavoro carulliano non era mai stato registrato?) Corrado Giuffredi e Simone Nicoletta hanno al contrario saputo fornire un’interpretazione a dir poco accattivante: ogni ostacolo in ambito tecnico è stato da loro superato come se si trattasse di bere un bicchiere d’acqua, tramutato in un’orgia di fraseggio e di espressività supremi. Sì, perché la partitura del compositore di Olginate è un autentico campo minato in fatto di virtuosismi, ma il metal detector utilizzato dal nostro duo, rappresentato da un continuo, incessante eloquio della materia musicale, ha fatto sì che dalla prima all’ultima nota venisse attraversato e ultimato senza correre il pur minimo rischio, al punto da trasmettere perfino un’idea di semplicità esecutiva. Proprio grazie a questa capacità espressiva, a questa lucidità dell’eloquio, è stato possibile portare a galla, ripeto con due soli clarinetti, quelle sfumature, quelle prerogative dell’opera rossiniana infarcite di una sottile psicologia, poiché non dimentichiamo che al di là della frizzantezza, della giovialità della scrittura del maestro di Pesaro, si annida sempre una tessitura dal volto drammatico, irto di tradimenti, di passioni represse, di colpi di scena, di vendette, di omicidi (mi fermo qui, onde evitare involontari atti di spoiling nei confronti di coloro che non conoscono Semiramide e vogliono arrivarci attraverso Carulli… ).
Sempre senza digrignare i denti e senza mostrare segni di contrito imbarazzo, disco del mese di giugno di MusicVoice.
Pietro Tagliaferri si è occupato della presa del suono (effettuata nella Chiesa di San Colombano di Muradello, in provincia di Piacenza), con esiti a dir poco convincenti. La dinamica è oltremodo generosa in fatto di velocità ed energia, senza per questo dare adito a possibili colori innaturali, in modo da esaltare il timbro dei due clarinetti. Il parametro del palcoscenico sonoro permette di ricostruire i due strumenti a una discreta profondità, ottimamente inseriti nello spazio fisico dell’evento sonoro, oltre a mostrare un’ampiezza e un’altezza del suono tale da oltrepassare i diffusori (pur essendo stato registrato in una chiesa, l’elemento del riverbero è piacevolmente quasi nullo il che, come vedremo, va a impreziosire la qualità dell’equilibrio tonale). Quest’ultimo, particolarmente critico in prese del suono come queste, non mostra il minimo cenno di sfasamento e imperfezione: il registro dei due clarinetti, sia nella sfera medio-grave che in quella acuta, risulta essere sempre ottimamente messo a fuoco, in modo da evidenziare il dialogo dei due strumenti a fiato, il loro fraseggio, senza mai avvertire indebite e improvvide sovrapposizioni. Infine, il dettaglio mostra tanto, tantissimo nero in modo da restituire la concretezza fisica di entrambi, oltre a permettere un ascolto che non è mai faticoso.
Andrea Bedetti
Benedetto Carulli - Melodie esposte in forma di duetto concertante per due clarinetti sulla Semiramide di Gioachino Rossini
Corrado Giuffredi & Simone Nicoletta (clarinetti)
CD Fluente Records FL 28240
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5