Bartolomeo Campagnoli e i suoi fratelli: la scuola violinistica italiana del primo Ottocento

 
Abbiamo intervistato Francesco Parrino, uno dei più noti e preparati violinisti italiani che con suo fratello Stefano, eccelso flautista, ha registrato recentemente per la Brilliant Classics i Sei duetti op. 2 del compositore romagnolo, esponente di punta, tra la fine del XVIII secolo e l’inizio di quello successivo, del violinismo italico

 

Maestro Francesco Parrino, per quale motivo lei e suo fratello Stefano avete deciso di registrare i Sei duetti op. 2 di Bartolomeo Campagnoli?

Le ragioni principali per la scelta di dedicarci a questo progetto sono due. In primis, siamo tutti e due molto curiosi e desiderosi di esplorare territori poco o punto battuti. Campagnoli è una figura storica relativamente conosciuta dai violinisti, ma la sua opera compositiva è ancora da scoprire e valutare compiutamente. In secondo luogo, Stefano ed io collaboriamo musicalmente da trentacinque anni e, pur avendo inciso diversi album, abbiamo avuto l’opportunità di registrare in duo solo due brani contemporanei (Ciglio II di Franco Donatoni e Luz di Giorgio Colombo Taccani). Abbiamo quindi colto al balzo l’interesse di Brilliant Classics per Campagnoli, felici di poter incanalare le energie del nostro sodalizio fraterno e artistico in un programma esclusivamente “nostro”.

 

Francesco & Stefano Parrino, interpreti dei Sei duetti op. 2 di Bartolomeo Campagnoli, pubblicati dalla Brilliant Classics.

 

Come si pone l’opera musicale e l’apporto didattico del musicista di Cento all’interno delle dinamiche della scuola violinistica italiana tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo?

Se paragonato ad altri esponenti di rilievo della scuola violinistica italiana a lui più o meno coevi come Giovan Battista Viotti, Alessandro Rolla e Niccolò Paganini, Campagnoli può forse apparire un po’ accademico. A mio parere, la sua scrittura rappresenta un amalgama in cui stilemi ereditati dalla grande tradizione barocca italiana, per mezzo del suo insegnante Pietro Nardini (allievo di Tartini), si uniscono a formule compositive improntate a un classicismo razionale e geometrico distanti dalla sensibilità italiana e ascrivibili alla lunga permanenza del violinista nel Nord Europa. A questo proposito, il suo Metodo per violino sembra esemplificare la posizione di Campagnoli. A parte qualche raro caso (Geminiani e Tartini su tutti), i violinisti italiani non hanno dimostrato una particolare inclinazione alla produzione teorica e trattatistica. Nel leggere il Metodo di Campagnoli si nota una cura classificatoria ed espositiva allineabile agli ideali illuministi a fondamento, per esempio, del Méthode redatto per il Conservatorio di Parigi da Baillot, Kreutzer e Rode nel 1803, la quale però si contempera con la personale esigenza di Campagnoli di proporre una sintesi retrospettiva delle conoscenze acquisite dalla scuola italiana. In ciò sta la particolarità del contributo di Campagnoli allo sviluppo della scuola italiana e alla nostra comprensione della medesima.

 

Una pagina del trattato violinistico la Nouvelle méthode di Bartolomeo Campagnoli.

 

Quali sono a suo avviso, Maestro Parrino, le qualità e, se così si può dire, i difetti del violinismo di Bartolomeo Campagnoli?

Probabilmente le qualità del violinismo di Campagnoli rappresentano – come nel rovescio della medaglia – anche i suoi difetti. Alla cerca della quadratura del cerchio, ovvero nel tentativo di incardinare la tipica cantabilità melodica italiana in un tessuto contrappuntistico nordeuropeo, nelle sue composizioni Campagnoli risulta sobrio nell’utilizzo di diverse esuberanti trovate espressive e timbriche acquisite dal violinismo italiano (a solo titolo d’esempio, posizioni sopracute, colpi d’arco picchettati, ricerca di timbri inusitati come “sul ponticello” – elementi che si riscontrano con frequenza maggiore nei lavori di Viotti, Rolla e Paganini) nonché pronto a sacrificare l’immediatezza espressiva della vena melodica a favore di una condotta motivica ragionata e asciutta. D’altro canto, l’esplorazione sistematica delle prime sette posizioni della mano sinistra, la solida conoscenza dei principali colpi d’arco classici, e la propensione “costruttivista” all’acquisizione delle competenze violinistiche fanno di Campagnoli una figura unica nel panorama italiano di fine Settecento e inizio Ottocento che è meritevole di una maggior valorizzazione e di uno studio più approfondito. Sono personalmente convinto che la familiarità con le principali opere di Campagnoli può essere una significativa chiave di comprensione dei lavori per violino del Classicismo europeo e delle prassi esecutive dell’epoca.

 

In un respiro più vasto, quali sono le prerogative della scuola violinistica italiana dell’epoca del musicista romagnolo rispetto alle altre scuole europee?

Da un punto di vista didattico, parafrasando un’idea espressa più volte da Nikolaus Harnoncourt, il Méthode di Baillot, Kreutzer e Rode oppure la Violinschule di Louis Spohr (pubblicata quattro o cinque anni dopo la morte di Campagnoli) rappresentano – nel contesto di una visione illuminista ottimistica, razionale e quindi standardizzante – quasi degli antesignani dei self-help books, testi concepiti nella convinzione che ogni individuo, se fornito di precetti e informazioni chiaramente esposti, può risolvere i problemi e migliorarsi da solo. Con l’eccezione di Campagnoli (che però visse gran parte della propria vita in Germania), nel panorama italiano questo tipo di letteratura non è presente e si riscontra invece la continuazione di quella pluricentenaria educazione artigianale “da gilda” basata sulla pratica più che sulla teoria, e quindi sulla produzione di studi, capricci e variazioni (sovente pensati ad hoc per un singolo allievo) che contribuiscono al mantenimento della “bottega” dove c’è bisogno di un maestro che passi i “segreti del mestiere” all’apprendista. Dal punto di vista artistico, e forse come conseguenza della particolare filosofia educativa mai rinnegata dagli italiani, si riscontrano nel mondo violinistico italiano dell’epoca di Campagnoli spiccate individualità (Viotti, Rolla, Paganini) molto differenti tra loro mentre, a solo titolo di esempio, per quel che concerne il milieu culturale allora dominante in Europa, quello parigino, pur nelle differenze di personalità, talenti e conoscenze tra capiscuola come Baillot, Kreutzer e Rode e i maggiori esponenti delle generazioni successive, c’è un’univocità d’intenti e un’organicità negli approcci filosofici e metodologici che obbligano a parlare di una singola e riconoscibile scuola, quella franco-belga.

 

Il violinista e compositore pavese Alessandro Rolla raffigurato da Vincenzo Raggio.

 

Dopo questo disco dedicato a Bartolomeo Campagnoli, lei e suo fratello Stefano avete già nuovi progetti discografici all’orizzonte?

Come duo, abbiamo raccolto il suggerimento di Brilliant Classics di registrare i lavori per flauto e violino di Rolla (che abbiamo già iniziato ad esplorare in concerto e che incideremo nel 2020). A livello individuale, io e il bravissimo Michele Pentrella proporremo i lavori per violino e pianoforte di Aleksandr Fyodorovich Goedicke (un compositore russo, cugino di Medtner e amico di Rachmaninov, veramente interessante ma completamente negletto) mentre Stefano a breve sarà impegnato con Gloria D’Atri nell’interpretazione dei lavori per flauto e pianoforte di Emil Kronke. Di prossima uscita è anche un album dedicato ai quartetti per flauto e archi di Viotti a cura del Quartetto Viotti, di cui Stefano ed io facciamo parte.

Andrea Bedetti