Ali Hirèche alle prese con il Wanderer e Faust
Disco del mese di Novembre 2023
L’ultima, recentissima fatica discografica del pianista francese Ali Hirèche, pubblicata dall’etichetta Bion Records (con la cover che riprende un inquietante e coinvolgente dipinto dell'artista veneto contemporaneo Giulio Frigo), ha preso in considerazione dei must per un interprete, ossia la Wandererfantasie di Franz Schubert e la Sonata in si minore di Franz Liszt, oltre a tre Lieder schubertiani trascritti per solo pianoforte da Liszt e che fanno parte dei Dodici Lieder S.558, ossia Der Wanderer, Gretchen am Spinnrade e Erlkönig, i quali, non per nulla, nella tracklist del CD vengono posti come un “ponte di collegamento” tra l’iniziale Fantasia schubertiana e la finale Sonata lisztiana. Dunque, Schubert l’emotivo e Liszt il letterato decodificati attraverso la lente d’ingrandimento interpretativa di un artista, Ali Hirèche, che fa della sensibilità e della profondità espressive il suo indubbio marchio di fabbrica.
Prima di tutto, c’è da comprendere l’abbinamento tra la connotazione emotiva schubertiana e la patina letteraria lisztiana, abbinamento che in termini storico-musicali può apparire a dir poco lapalissiana, ma che il pianista francese non espone e non risolve in modo scontato alla luce di ciò. Che Hirèche abbia voluto intraprendere un “cammino” pianistico in tal senso, non vuol dire che lo abbia fatto in nome di tale ovvietà percepita perfino da un ascoltatore medio e da uno studente al primo anno di conservatorio. A mio modo di vedere, dopo aver ascoltato più volte la sua lettura nei confronti di queste celeberrime pagine, l’intento dell’artista francese è stato quello di mostrarci quasi un percorso alchemico, non basato però nel consueto passaggio chimico da uno stato solido fino a quello gassoso, ma permettendo all’ascoltatore accorto di percepire un altro aspetto non legato all’esclusivo retaggio romantico, tenuto conto ovviamente di quanto fecero gli epigoni romantici, ossia di inglobare la classicità compositiva di Schubert nell’alveo di un propileo romantico tout court, ma già proiettato verso ambiti decisamente più moderni e contemporanei, vale a dire considerare il messaggio e la lezione romantici come un campanello d’allarme che annuncia l’affioramento dell’inconscio quale connotazione fondamentale dell’arte e della cultura che si vanno poi a tuffare nel mare tempestoso del Novecento (la lettura, con debita riflessione, di un classico come La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica di Mario Praz è a tale proposito a dir poco ancora ineludibile… ). Ecco perché, a mio giudizio, le note di accompagnamento al disco, stilate da Patrick Piguet, non dico che entrino in contrasto con quanto poi acclarato interpretativamente da Ali Hirèche, ma quantomeno risultano originali rispetto alla lettura fatta sulla tastiera; sia ben chiaro, l’estensore, anche a beneficio dell’ascoltatore e del lettore non avvezzi, presenta le opere qui registrate sotto la rassicurante angolazione dell’elemento “rappresentazionale”, per dirla con il filosofo della musica statunitense Peter Kivy, cioè dipanando e collegando quel filo che unisce le finalità musicali di queste pagine alla luce di un corrimano che si materializza in nome di una precisa impronta letteraria, quella fornita dai testi poetici di Goethe, confluiti poi nei Lieder schubertiani e influenti, in un secondo momento, nell’elaborazione lisztiana della Sonata in si minore, rispettando quindi l’assioma di una musica, come quella spudoratamente romantica, il cui significato più profondo e veritiero giunge a vette che non appartengono a nessun’altra “nobile arte”, letteratura compresa (mi è permesso ricordare la trita e ritrita affermazione di Heine, «Dove le parole finiscono inizia la musica»?).
In realtà, la lettura fatta da Ali Hirèche di tutti i brani di questa registrazione non si basa sul concetto che dove le parole non arrivano ci pensano poi i suoni a illustrare il tutto: troppo scontato (c’è una legione di pianisti che lo ha fatto e che continua a farlo) per un artista della sua finezza e della sua “complessità”. No, i meccanismi della sua interpretazione sono altri. Quando sopra ho parlato di lettura alchemica, è per il semplice fatto che tale raffigurazione (mi perdonino Hanslick e tutta la muta di formalisti) è inerente a un principio trasfigurativo al quale il pianista transalpino si attiene per dare atto e avvio al suo percorso interpretativo. Questo perché la capacità pianistica che lo contraddistingue, capacità che nasce beninteso da un’attenta e illuminante riflessione a priori, lo spinge a cercare nuove vie, nuovi sentieri, decisamente meno battuti, ma non per questo meno interessanti e meno coinvolgenti.
Uscire dal seminato non significa necessariamente essere eterodossi, ma guardare con occhi diversi e scoprire nuove angolazioni; per questo nei brani che compongono questa sua nuova avventura discografica Hirèche va a decodificare l’annosità esecutiva attraverso un principio che può essere reso a livello esplicativo con il concetto di “trasfigurazione”. Ciò vuol dire, in ambito tecnico-espressivo, non pestare sui tasti per esprimere la drammaticità e la violenza di determinate immagini come, tanto per fare qualche esempio, il tema baldanzoso enunciato dall’incipit dell’Allegro con fuoco ma non troppo della Wandererfantasie che ci mostra il “viandante” al pronti-via di un cammino da percorrere esteriormente e interiormente oppure la corsa del cavallo con cui si apre Erlkönig, che già annuncia la triste fine del bambino, ma connotando una timbrica che è magistralmente in grado di restituire l’atmosfera in nome di un non troppo il cui risultato non toglie un’oncia di efficacia e di pregnanza.
Semmai, e qui possiamo considerare la potenza volumetrica del timbro dato da Hirèche attraverso la sua lettura del Presto e dell’Allegro finale della Wandererfantasie, nello stesso modo in cui la Lichtung heideggeriana ci fa comprendere la luce che colpisce il “viandante” quando dal fitto impenetrabile della foresta viene accecato dalla violenza solare nel giungere in una radura libera di fronde e di vegetazione. Ecco, il pianista francese ha la capacità di accecare il nostro udito, mai in nome di un effettismo senza senso, ma sempre in un pieno e meraviglioso rispetto dell’arcata generale dei piani espressivi (in questo senso, il Presto in questione è micidiale nell’essere risolto modulando la timbrica in modo da restituire il piano sonoro in sé senza dimenticare o squilibrare il contesto architettonico nel quale è inserito dal pianismo schubertiano!).
Se nell’immaginario collettivo storico e interpretativo il personaggio del Wanderer simboleggia un progressivo annientamento della sfera interiore di chi lo incarna, in quanto la sua ricerca non porta a un risultato costruttivo del suo ri-cercare, trovo invece che la lettura che Ali Hirèche fa della Wandererfantasie permetta di scorgere una diversa prospettiva, meno annichilente e maggiormente votata a una dimensione che rimanda a una sorta di speranza, una speranza che trova nella dimensione etica e musicale di Franz Liszt il suo naturale erede e sviluppatore in una chiave chiaramente spirituale (spiritualità a dire il vero assai particolare, visto che non dobbiamo dimenticare che buona parte della vita del sommo magiaro fu da lui vissuta con una mano fra le gambe delle donne e con l’altra tenendo ben saldo un crocifisso). Speranza non vuol dire necessariamente ottimismo, e per giungere al Faust di cui è imbevuta a livello sensitivo-letterario la Sonata in si minore, risalente al 1852, Liszt dovette attraversare il guado dato dalla trascrizione puramente pianistica dei Dodici Lieder S. 558, dei quali Erlkönig in sol minore è il quarto, Gretchen am Spinnrade in re minore è l’ottavo e Der Wanderer in mi maggiore è l’undicesimo (la fonte di ispirazione di quest’ultimo non viene data poeticamente da Goethe, ma dai versi di Georg Philipp Schmidt von Lübeck).
Oso azzardare che nella sua lettura decodificante il pianista francese abbia voluto simboleggiare questa ascesa di una sorta di scala di Giobbe etico-musicale attraverso la dimensione, ancora una volta, della “speranza” in Der Wanderer, dell’“espiazione” in Gretchen am Spinnrade e della “punizione” in Erlkönig, tramutando l’afflato drammatico-tragico sul punto di precipitare dal burrone romantico in una parabola cristianamente edificante, vista ovviamente sotto l’angolazione lisztiana. Così, sotto le dita di Ali Hirèche la tastiera restituisce un viandante in cui il timbro rabbuiato a volte si apre a una timida solarità, come se il Wanderer alzasse di tanto in tanto gli occhi al cielo, strappandoli alla desolazione della neve sporca che i suoi piedi sono costretti a calpestare, così come il ragionato ed emozionante fraseggio che riesce a imbastire in un’irresistibile progressione trasforma l’ineluttabile dimensione temporale data dal fato attraverso il filare di Margherita in una sua accorata e struggente preghiera e, infine, l’implacabile legge mosaica, un Mosè che ricorda quello delineato poi da Schönberg, data da un terribile registro grave istigato dalla mano sinistra che si abbatte per volere divino su chi osa sfidare e trasgredire.
Ma che questi tre Lieder trascritti per il pianoforte da Liszt siano un ponte di collegamento verso un Faust la cui dimensione proiettante rappresenta la somma totale della “speranza”, dell’“espiazione” e della “punizione” è data da una lettura da parte del nostro artista nella quale la componente per così dire mefistofelica viene decostruita e cancellata da una concezione decisamente più problematica da un lato e anche più riconciliante nei confronti di ciò che spiritualmente si è perso e che si tenta di conquistare nuovamente. Ci sono aspetti nell’interpretazione di Hirèche che mi sembrano a tratti perfino wagneriani, più precisamente quelli che riguardano il concetto di una sopraggiunta Mitleid, attraverso una progressiva presa di coscienza nell’arco di tutta la Sonata in si minore del rinnegamento di Faust della firma vergata con il sangue a favore del demonio. La drammaticità con la quale il pianista transalpino rende l’Allegro energico del primo tempo si tramuta già a tratti in una solarità che sembra presagire la volontà di aspirare a una spiritualità riparatrice, la quale viene riformulata pezzo dopo pezzo nel corso dell’Andante sostenuto, il cui fraseggio “singhiozzante” è un balsamo per l’anima faustiana e con Hirèche che scansiona un’agogica che trasmette pienamente e “progressivamente” il ritorno a una sfera umana del protagonista, dopo le tentazioni metaumane da lui malignamente accolte.
L’introversione esistenziale, il dubbio lacerante che s’impossessa di Faust vengono resi magnificamente dal pianista francese nella densissima transizione dell’Allegro energico che si apre nell’ultimo tempo, nel quale si svolge il “duello all’OK Corral”. Sì, perché Ali Hirèche volge l’ago della bilancia verso una catarsi sonora che si fa sempre più limpida, accesa, entusiastica, capace di far emergere un’indubbia positività verso la quale Faust corre incontro (la sapienza e la capacità di modulare il legato permette di cogliere il percorso psicologico che si attua nel personaggio!), con il finale che ripresenta il tema iniziale con un sentimento del tutto nuovo, in cui non solo sembra di vedere Faust volgere indietro il capo, riconsiderando ciò che era stato, ma la cui implacabile densità timbrica ha il sapore di un’acquisita e commovente illuminazione, la stessa che Richard Strauss pose alla conclusione del suo Also sprach Zarathustra, sebbene quest’ultima in chiave decisamente “pagana”. Pochi accordi, ma assoluti, totalizzanti, avvolgenti, con Faust (alias Liszt) che, dopo aver assaporato il calice del male e averlo scoperto amaro, è capace ancora di inginocchiarsi ai piedi della croce.
Disco del mese di novembre di MusicVoice (con qualche giorno di ritardo… ).
Buona anche la presa del suono effettuata da Clémence Fabre, che permette di apprezzare la bellezza del suono che scaturisce dal pianismo di Ali Hirèche. La dinamica è esplosiva, molto energica e assai naturale, anche se a volte il registro acuto della tastiera, soprattutto nel martellare sovracuto lascia trasparire una fastidiosa “metallicità”, ma senza che vada a inficiare il risultato complessivo. Il pianoforte viene ricostruito in modo assai ravvicinato nello spazio fisico, per ciò che riguarda il parametro del palcoscenico sonoro, senza però dare un senso di innaturalezza, con un suono che si distingue anche in altezza e in ampiezza. L’equilibrio tonale, al di là del peccato veniale del registro sovracuto di cui si è già scritto, non evidenzia altri difetti di sorta e il dettaglio, infine, restituisce un’indubbia matericità.
Andrea Bedetti
Franz Schubert-Franz Liszt – Wandererfantasie-Drei Lieder S.558-Klaviersonate h-moll
Ali Hirèche (pianoforte)
CD Bion Records BR291209
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4/5