A volte, per fortuna, ritornano
Tra il 19 e il 31 agosto 1991, nella Chiesa di S. Maria della Pietà a Venezia, i componenti dell’orchestra da camera “Concerto”, diretta dal musicologo e violoncellista milanese Roberto Gini, registrarono per gli Speciali della rivista musicale Amadeus un’edizione rigorosamente filologica della raccolta L’Estro Armonico op. 3 di Antonio Vivaldi. Per certi versi, almeno per il nostro Paese, quell’iniziativa discografica rappresentò qualcosa di rivoluzionario, visto che le registrazioni “storicamente informate” nel panorama nazionale dell’epoca erano ancora merce rara, rispetto a quanto già avveniva ormai ampiamente all’estero. Fu un progetto decisamente coraggioso, gettato temerariamente in pasto al grande pubblico di appassionati, il quale in fatto di filologia musicale era in gran parte ignorante o, quanto meno, ancora poco avvezzo.
A distanza di più di trent’anni, il rendiconto storico di quella registrazione ha dimostrato che fu un’operazione a dir poco lungimirante, capace di squarciare i confini di una certa tipologia interpretativa e di offrire nuovi orizzonti, sia per le nuove generazioni di interpreti, sia per un pubblico che fino a quel momento aveva dovuto fare affidamento sulle registrazioni effettuate da etichette straniere, quali, tanto per fare qualche esempio, l’Archiv, L’Oiseau-Lyre e la leggendaria collana Das Alte Werk della Telefunken, la cui prima registrazione “filologica”, è bene ricordarlo, risale al 1958 ancora in mono.
Certo non erano mancati in Italia, in precedenza, dei tentativi nel voler proporre autori barocchi in una chiave che potremmo definire filologica ante litteram, come nel caso dell’etichetta Arcophon, voluta da quel mecenate e raffinato uomo di cultura che porta il nome di Giovanni Pirelli e curata dal musicologo, violinista e direttore d’orchestra trevigiano Angelo Ephrikian che, alla testa de I Solisti di Milano, effettuò delle registrazioni di autori quali Alessandro e Domenico Scarlatti, lo stesso Antonio Vivaldi, Luigi Boccherini e perfino Gesualdo da Venosa (spesso con le note di accompagnamento curate da Francesco Degrada), attraverso un’avventura discografica iniziata nel lontano 1954 e terminata, con l’improvvisa e tragica morte di Pirelli, nel 1973.
Tornando a quella registrazione dell’op. 3 vivaldiana, c’è anche da tenere conto di un altro aspetto, ossia che gli interpreti che vollero lanciare questa sfida discografica all’epoca erano assai giovani, a cominciare dallo stesso Roberto Gini e proseguendo con il Konzertmeister, Cinzia Barbagelata, avvalendosi di preziosi strumenti (il primo suonando un violoncello Matteo Goffriller, costruito a Venezia nel 1708, mentre la seconda usando un meraviglioso violino di Pietro Guarnieri, risalente al 1751, oltre al fatto di effettuare la registrazione nel luogo dove lo stesso Prete Rosso fu “Maestro de’ Concerti”).
Da allora sono trascorsi più di trent’anni e molto è cambiato, anche nel nostro Paese, per ciò che riguarda le esecuzioni e le registrazioni storicamente informate; un cambiamento che ha apportato grandi benefici anche se in qualche caso, soprattutto uscendo dal seminato della musica antica e barocca ed entrando in quella successiva, se ne sarebbe volentieri fatto a meno. Ma è indubbio che il sentiero tracciato da quelle registrazioni che furono effettuate in era “pioneristica”, almeno in Italia, ha dato i suoi debiti frutti, rappresentando un ineludibile spartiacque tra il prima e il dopo, magari provocando il desiderio, come nel caso dell’incisione fatta per Amadeus dell’op. 3 vivaldiana, di poterla avere ancora a disposizione, soprattutto a beneficio di quelle nuove generazioni di interpreti e di ascoltatori che non ebbero l’occasione, all’epoca, di poterle vivere e sperimentare. Ora, però, grazie a un’iniziativa della casa discografica Aulicus Productions, quella registrazione fatta da Roberto Gini, Cinzia Barbagelata e l’ensemble “Concerto” è tornata ad essere a disposizione di cultori e appassionati; infatti, da pochissimi giorni, questa “storica” incisione ha inaugurato una nuova collana discografica denominata Amadeus Best Gold Collection, che presenterà altre registrazioni fatte all’epoca dalla rivista Amadeus e che va ad affiancare la collana Amadeus Best, la quale invece è disponibile solo in formato liquido (basta accedere alla pagina web www.aulicusclassics.com/general-catalog/amadeus-best) e che ha già al suo attivo ben trentacinque titoli.
A questo punto, bisognerebbe chiederci quali furono i motivi che fecero “rivoluzionaria” nel nostro panorama discografico la registrazione di Roberto Gini e dell’ensemble “Concerto”. Fondamentalmente, questa esecuzione dell’op. 3 vivaldiana si basa sull’edizione settecentesca, un aspetto che all’epoca rivelò non poche sorprese, la più notevole delle quali riguardava la distribuzione della compagine orchestrale; difatti, se le partiture moderne vengono generalmente arrangiate in Soli / Violino I e II / Viola / Violoncello solo / Violoncello / Contrabbasso / Clavicembalo, l’edizione originale sulla quale si basò Roberto Gini è composta da otto fascicoli, così suddivisi: Violino I / Violino II / Violino III / Violino IV/ Contralto I / Contralto II / Violoncello / Violone e Cembalo. Questa differenza non è certo un particolare da poco, in quanto si vengono, prima di tutto, a delineare quattro parti di violino invece di due; inoltre, nei fascicoli per violino e violoncello è indicata l’alternanza tra “solo” e “tutti”, in modo che quando viene presentato un assolo, il riempimento di quella parte risulta essere muto. Così, nel caso di concerti con due violini (per la precisione, RV 578, RV 519, RV 522, RV 565), viene prodotto un riempimento dal Violino I al Violino III e dal Violino II al Violino IV.
Invece, nei concerti per violino solo (RV 310, RV 356, RV 230, RV 265) il solista si distingue isolato, accompagnato non dal riempimento della sua parte ma da quello del secondo, terzo e quarto violino, mentre nei concerti a quattro violini (RV 549, RV 550, RV567, RRV 580) si assiste a un continuo intrecciarsi di interventi solistici e riempimenti in una caleidoscopica alternanza di suoni e colori. Un’altra annotazione riguarda il ruolo del Violone e del Cembalo, il quale è compreso in un unico fascicolo, il che suggerisce un basso continuo costantemente pieno con gli strumenti bassi uniti in un’unica entità; dunque, quando Vivaldi prescrisse uno strumento basso di otto piedi, questo fu affidato al solo violoncello e al clavicembalo, con gli altri bassi che tacevano. Infine, le viole, unite o divise, oltre alla parte di riempimento, hanno sovente la funzione definita da Johann Joachim Quantz Petite Basse, ossia quando i violoncelli e i bassi tacciono. Questa caratteristica delle parti di basso, oltre alla studiata giustapposizione di Violino I e III e quella di Violino II e IV, suggeriva un posizionamento orchestrale con i bassi e le viole al centro e i violini contrapposti a due a due ai lati (vale a dire, violini I e II a sinistra, violini III e IV a destra), in modo da bilanciare i “soli” e i “tutti”. Da ciò deriva il caratteristico effetto prodotto da questo tipo di posizionamento che risulta essere diverso da quello di un’edizione moderna tradizionale, nel quale i solisti vengono estrapolati dai rispettivi riempimenti, senza contare che i violini, condensati in due righi di Violino I e di Violino II, perdono inevitabilmente l’effetto di doppio coro che invece è perfettamente percepibile suonando sulle parti separate previste dall’edizione dell’Estro Armonico pubblicata ad Amsterdam nel 1711.
Se ho voluto riportare queste annotazioni tecniche, presenti nelle note di accompagnamento alla registrazione, è stato essenzialmente per due motivi: il primo è quello di far comprendere che cosa rappresentò all’epoca tale incisione nel mondo ancora larvale dell’esecuzione storicamente informata nel panorama italiano, il secondo è che tali prerogative filologiche sono tuttora valide anche oggi, soprattutto per l’incidenza del suono ottenuto nel rapporto tra “soli” e “tutti”. Questo rapporto, a livello di ascolto, assume connotazioni espressive che risultano essere ancora affascinanti, coinvolgenti, articolate nel loro svolgersi e nella ricostruzione spaziale del timbro ottenuto tra strumento solista e apporto orchestrale.
Si resta ancora colpiti dalla direzione di Roberto Gini che, pur nel rigore della scrittura, non manca mai di freschezza inventiva nei tempi veloci e di pacata e struggente malinconia cantabile, tipica nella scuola veneziana, in quelli lenti (è proprio considerando il tipo di soluzione scelta per ciò che riguarda l’utilizzo di basso continuo che si può capire meglio la scansione volumetrica che di in volta in volta riesce ad esaltare tutto il costrutto), così come dalla brillantezza istoriata con la quale Cinzia Barbagelata, in qualità di Konzertmeister, e Simona Gilardi, nel ruolo di primo violino, riescono a dipanare le molteplici idee che si concretizzano in temi sviluppati e inseriti nella trama imbastita dal “Prete rosso”. Infine, la coralità di tutto l’ensemble “Concerto”, coinvolto appassionatamente nell’esecuzione di questo capolavoro vivaldiano, nel restituire i pieni con una totale consapevolezza degli strumenti espressivi grazie a una rotondità timbrica che riesce ancora ad emozionare.
Per quanto riguarda la presa del suono, avendo a disposizione i due dischi pubblicati a suo tempo da Amadeus nel 1991, ho effettuato un ascolto confrontativo con i CD editi dalla Aulicus Productions per stabilire possibili differenze. Differenze che non si notano assolutamente, il che mi fa supporre che la nuova pubblicazione abbia fatto riferimento in tutto e per tutto con il master originale dell’epoca. Questo significa che tale presa, effettuata da Ernesto Esposito e con l’editing a cura di Gennaro Carone e dello stesso Roberto Gini, soffre di quei difetti tipici della digitalizzazione di allora, quando la riversione sul dischetto argentato muoveva ancora i primi passi. La dinamica, pur nella sua generosa energia, mostra delle sfumature “metalliche” che a volte portano a indurire il timbro e a impedire di avvertire la tipica setosità degli archi, soprattutto quelli dal registro più acuto. La ricostruzione del palcoscenico sonoro proietta l’intera compagine in uno spazio leggermente ristretto, quindi mancante di un’adeguata altezza, così come di un’ampiezza capace di propagarsi oltre la presenza fisica dei diffusori. All’epoca, le prese del suono digitali portavano a confezionare uno spazio fisico dell’evento sonoro per così dire “inscatolato”, senza poter esaltare la distanza che c’era tra elementi solisti e compagine orchestrale; risulta, quindi, a livello di ascolto una “compressione” tra il suono del Konzertmeister e gli elementi orchestrali senza poter cogliere fisicamente la posizione di Cinzia Barbagelata rispetto agli altri interpreti in modo netto e chiaro, oltre al fatto che il riverbero talvolta, soprattutto nei tempi lenti, tende ad essere oltremodo invasivo, andando a disturbare la nettezza del registro e il timbro degli strumenti. A proposito dell’equilibrio tonale, per i motivi appena addotti risulta essere non idealmente messo a fuoco, con conseguenti leggere sbavature che si possono cogliere soprattutto se si dispone di un impianto d’ascolto esoterico, il quale mette inevitabilmente in evidenza pecche di tale tipo. Infine, anche il dettaglio non manifesta una corroborante matericità, mancando quell’indispensabile tridimensionalità che dev’essere presente nel parametro del palcoscenico sonoro, con il risultato di avere una dimensione fisica alquanto “appiattita”, con conseguente mancanza di quel nero che deve circondare gli strumenti. Sia ben chiaro, però, che stiamo parlando di una presa del suono avvenuta più di tre decenni fa, il che, con tutti i passi da gigante che la presa del suono digitale ha fatto durante questo lasso di tempo, di considerare tale registrazione, a livello tecnico, meramente “storica”.
Andrea Bedetti
Antonio Vivaldi – L’Estro Armonico
Ensemble Concerto – Roberto Gini (direzione)
2CD Aulicus Productions Amadeus Best Gold Collection FAB 0001
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 3/5